Aldo Bianchini
SALERNO – Sto seguendo attentamente la tragica vicenda dell’omicidio in danno del malcapitato (non so fino a che punto !!) Eugenio Tura De Marco e ne parlo per “de relato” avendo, come faccio sempre, usufruito di tutte le informazione che i tanti giovanissimi colleghi giornalisti mi forniscono sicuramente involontariamente (ma li ringrazio ugualmente !!) attraverso i loro rispettivi giornali. Sarebbe meglio dire “giornaliste” in quanto la cronaca è affidata per un buon 80% a giovani e brave giornaliste, capaci più dei maschietti di intrufolarsi nei meandri nascosti delle veline. Solo così sono in grado di approfondire gli argomenti e cercare di analizzarli andando “dentro e oltre la notizia” in se, visto e considerato che loro (i giovani colleghi) non possono soffermarsi più di tanto sulla notizia, soprattutto quando essa è di natura giudiziaria o nera. La cosa che più mi ha colpito nella vicenda del brutale assassinio di Eugenio Tura De Marco è la costanza con la quale tutti i colleghi definiscono “ragazzi” i due giovani protagonisti, a vario titolo, del delitto: Luca e Daniela; fidanzati da poche settimane, per loro stessa ammissione, è già tremendamente innamorati fino al punto di essere già diventati indissolubilmente una persona sola. I giornali parlano di “ragazzi”, fortunatamente non dicono “bravi ragazzi” ma non dicendolo non solo restano nel vago ma è come se li omologassero a tantissimi “bravi ragazzi” di cui la nostra città è stracolma. Non è così. Anche quando si scrive solo di cronaca nera bisognerebbe sempre lasciare qualche piccolo spazio all’analisi del contesto sociale, delle sue ripercussioni ambientali e dell’inserimento nel tessuto urbano-economico-vitale che, nella fattispecie, i due giovani (22 anni lui e 24 lei) hanno avuto. Il quadro generale mi appare deprimente, al di là delle singole responsabilità il cui accertamento compete agli Organi ufficiali. Una ragazza ventiquattrenne e già con varie storie alle spalle e, soprattutto, con un figlio di cinque anni e un’altra maternità finita nel nulla. Il bambino è stato affidato al nonno paterno di un padre del quale non si conosce assolutamente niente: età, mestiere, posizione sociale, attuale tenore di vita; se. Una ragazza, quindi, che è stata giudicata non in grado di provvedere al mantenimento del figlio e da qui l’affidamento al nonno paterno e “non ai nonni paterni”; e da qui si dovrebbe partire per un’altra analisi a ritroso che, probabilmente, non finirebbe mai di stupirci. E poi c’è un ragazzo di ventidue anni, praticamente disoccupato, con piccoli irrilevanti precedenti, che viene quasi cooptato in un contesto familiare praticamente sconosciuto e dal quale non riesce a liberarsi perché preso da un “folle amore” maturato in pochi giorni di conoscenza nei confronti di una “partner” che ci tiene ad evidenziare il fatto che tra loro non ci sono stati ancora rapporti sessuali completi, quasi come se lei fosse ancora una ragazzina illibata. Come dire: vai a raccontare lucciole per lanterne da qualche altra parte. Dal quadro, ripeto deprimente, forse l’unica figura che potrebbe emergere in maniera un poco più chiara, ed anche in un certo senso positiva, è quella di Eugenio, padre di Daniele e futuro suocero di Luca, almeno così lui sperava anche perché solo così la figlia avrebbe potuto riavere in affidamento il figlioletto in quanto avrebbe potuto dimostrare di avere un marito ed una casa (quella che Eugenio avrebbe messo a loro disposizione) e per convincere il giudice minorile a ritornare sulle sue decisioni. Ma anche su di lui, ovviamente, c’è l’ombra pesantissima di non essere sicuramente il padre di Daniela sulla quale avrebbe potuto anche esercitare non meglio spiegate violenze adolescenziali (sessuali o psicologiche ?) confessate dall’intricante Daniela al malcapitato Luca, fino al punto da spingerlo verso il baratro dell’omicidio ? Un quadro complesso, dunque, nel quale gli inquirenti avranno modo di scavare ed anche a fondo per venire a capo di una tragica vicenda che si complica ora dopo ora e rischia di coinvolgere ancor più pesantemente una giovane ragazza che (le voglio dare un’ultima chance !!) stava forse cercando, attraverso l’amore di Luca e la riconciliazione con il presunto padre (la mamma della ragazza pare avesse un’altra relazione prima della nascita di Daniela !!), un senso compiuto alla sua vita, una vita che lei aveva già buttato più volte alle ortiche. Ed infine c’è la famiglia del giovane Luca, una famiglia che almeno dalla cronaca appare come più sicura e più stabile rispetto a quella di Daniela, difatti aveva accolto favorevolmente l’arrivo della ragazza che loro probabilmente avevano giudicato come (im…) probabile salvatrice del figlio Luca che stava già dando i primi segnali di allontanamento dalla realtà di una vita normale quotidiana. Insomma la famiglia di Luca vedeva Daniela come un’ancora di salvezza inconsapevoli che nel giro di poche settimane sarebbe diventata un pesantissimo macigno sul capo dello stesso Luca. Ma anche su questa famiglia,e soprattutto sul padre di Luca, incombe lo spettro di un’accusa pesantissima: quella di essere andato nelle ore immediatamente dopo il delitto a verificare se Eugenio era morto e per farlo meglio sarebbe salito sul tettuccio della propria auto per sporgersi meglio dalla finestra che lui stesso avrebbe aperto. Tutto questo è maturato, giova ricordarlo, in un contesto come quello del centro-storico che già di per se e nell’immaginario collettivo rappresenta, comunque, un buco nero dell’intera città, nonostante (come ho già scritto) il centro-storico di oggi sia completamente diverso da quello di ieri. Infine le “attenzioni particolari” che il sessantenne Eugenio avrebbe rivolto al futuro genero mi sembrano alquanto risibili se non del tutto inventate; altra storia potrebbe essere invece la paventata minaccia del padre verso la figlia quando le avrebbe intimato di lasciare stare al suo destino il giovane Luca. E perché, quindi, non indirizzare le indagini sulla figura di un sessantenne genitore “preoccupato” di riportare la figlia sulla strada maestra e di riconquistare l’affetto di un nipotino lontano ? Ma qui entriamo decisamente in un ambito suggestivo, non surreale ma molto pericoloso, fino al punto di uccidere o farsi uccidere per una donna. E, sulla scorta di tutto quanto raccontato, mi chiedo: ma si può ancora uccidere per una donna ? perché sembra essere propria questa la risoluzione dell’enigma. Alla prossima.