SALERNO – Le foto, quando sono ben fatte, sono pari agli articoli di fondo; non solo, le foto hanno anche il dono di parlare, di esprimere concetti in maniera molto marcata e spesso penetrante; insomma le foto possono essere veri e propri momenti artistici se non proprio pezzi di storia. La stampa in questi giorni ha diffusamente scritto e parlato dell’omicidio di Eugenio Tura De Marco, efferatamente consumato nell’appartamento della vittima sito in Piazza D’Aiello (in pieno centro storico di Salerno) ad opera del genero Luca Gentile, un giovane di appena 22 anni fidanzato da poche settimane con la figlia della vittima, Daniela di 24 anni. Una tragedia forse prevedibile che si è consumata nel giro di qualche minuto, un delitto che ha scaraventato la povera e giovane Daniela nello sconforto più profondo. Il giovane è stato arrestato ed ora la difesa comincia, come è giusto che sia, a cercare ogni piccolo elemento che possa portare un qualche beneficio al carnefice. Una tragedia che, come tutte le altre, si sta rapidamente colorando di giallo in quanto sarebbe stato accertato che l’omicidio sarebbe stato commesso almeno ventiquattro ore prima che la figlia desse l’allarme e chiamasse i soccorsi. Cosa è accaduto in quelle ventiquattro ore ? Per il momento il mistero è fitto. Scrivevo prima delle foto e del centro storico in cui spesso si consumano “romanzi criminali” dai quali vengono fuori veri capolavori fotografici che rimangono a perenne ricordo del fatto di cronaca nera. Ma quando la nera si accoppia alla sublime poesia, all’arte unica, viene davvero da ripensare a quello che siamo, al modo in cui viviamo, al contesto urbano e sociale in cui ci muoviamo. Il centro storico di Salerno non è certamente la “casbah” ma rimane comunque un luogo che la stessa concezione urbanistica fa degli scorsi senza tempo, dei vicoli, delle piazzette, degli archetti, una specie di mescolanza socio-culturale e delinquenziale che a volte pende da un lato e a volte dall’altro, senza prendere una piega definitiva né in un verso e né nell’altro. Ed è questa dimensione empirica che trasforma quei posti, spesso affascinanti, in uno scenario da favola ma anche da brividi, comunque in grado di ispirare anche i migliori poeti; in pratica sono le stesse ambientazioni che ispiravano il grande Alfonso Gatto che di quel centro storico era devotamente innamorato. Dicevo che la stampa ha scritto e parlato molto del delitto delle Fornelle, ma ha anche pubblicato molte fotografie. Ebbene una di queste ritrae il momento in cui la dott.ssa Elena Guarino (PM incaricata delle indagini preliminari) esce dalla casa dell’ucciso scortata dai Carabinieri. Tutti naturalmente si sono soffermati sul fulcro centrale della foto che riprende anche un piccolo pezzo dell’entrata della casa in cui si è consumato l’orrendo delitto, ma non so quanti hanno fatto caso o hanno indirizzato il loro sguardo sulla sinistra del profilo del magistrato. Bene !! chi lo ha fatto avrà senz’altro notato la bella scritta che è stata stampata sul muro che fa da angolo protettivo al portone d’ingresso dell’abitazione della vittima. La scritta altro non è che una delle stupende frasi coniate, a futura memoria, dalla sublime poetessa milanese Alda Merini (1931 – 2009) che è stata anche candidata al nobel per la letteratura diversi anni fa. La Merini, oltre che per le sue stupende poesie, è famosa per le sue frasi che erano poesie e che hanno segnato profondamente la storia letteraria del XX secolo, frasi e poesie che nei decenni sono state assunte dalla società contemporanea come vere e proprie icone, una sorta di espressione del pensiero della poetessa da raccogliere (così come è accaduto) in un lungo elenco, quasi come una infinita poesia della vita, delle sue dannazioni e delle sue suggestioni. Insomma, se volete, degli aforismi prolungati che racchiudono spesso l’essenza della nostra vita; esattamente come quello che qualcuno privatamente o come terminale di un preciso progetto ha inciso sul muro di fianco alla casa del delitto, in una sorta di scontro epocale e stridente tra i livelli altissimi della cultura e i bassifondi dell’incultura. Ed è emblematica lo stesso contenuto della poesia “Superba è la notte” che Alda Merini ha scritto pochi anni prima della sua morte: “”C’era una fontana che dava albe ed ero io. Al mattino appena svegliata avevo vento di fuoco e cercavo di capire da che parte volasse la poesia. Adesso ahimé tutti vogliono strapparmi la veste, ahimé come ero felice quando inseguivo i delitti di questa porta dalle mille paure. Adesso tutto è deserto e solo, gemono ventiquattro cancelli su cardini ormai spenti””. Profetica, non c’è che dire, la frase incisa, anche con una certa destrezza artistica, sul muro di confine che agevola l’accesso all’abitazione dentro la quale si è consumato il mostruoso delitto. Una frase che nella mente dell’incisore doveva, probabilmente, portare un po’ di luce in un contesto ambientale a rischio e che, invece, ha portato una delle morti più atroci registrate a Salerno in questi ultimi anni. Una frase che, però, si attaglia benissimo con la realtà dei muri, intesi come habitat, sui quali è stata incisa, una frase che in definitiva ripercorre tutta la drammaticità della stessa vita della Merini (conclusa malissimo e in uno stato di indigenza) che non è stata molto dissimile dalle vite di tantissimi uomini e donne sparsi per il mondo, ed anche nel centro storico di Salerno. Come la Merini ha probabilmente gettato la sua vita nello sconforto e nel totale abbandono, così il giovane Luca ha sicuramente ucciso se stesso e la sua fidanzata e ha posto fine alla vita di Eugenio dopo aver varcato quella “porta dalle mille paure”.
direttore: Aldo Bianchini