SALERNO – Il cosiddetto “cluster marittimo salernitano” è in rivolta; ora sembra che tutti si siano svegliati da un lungo ed inquietante letargo; tutti contro tutti e, soprattutto, contro la Stato centrale, cioè il Governo, che secondo i bene informati (si fa per dire !!) starebbe per partorire (se non l’ha già fatto) una sorta di “Autorità Portuale” di Napoli capace di fagocitare anche l’ A.P. di Salerno notoriamente e storicamente molto più piccola, anche se altrettanto storicamente molto più efficiente di quella di Napoli. E’ proprio questo “il seme della discordia” che velatamente ma artatamente viene diffuso tra le varie componenti del “cluster marittimo” per seminare panico tra gli addetti e gli operatori e per portare avanti una rivolta i cui effetti si sono visti nei giorni scorsi con notevoli ripercussioni sulla mobilità cittadina e del suo hinterland. Insomma da buoni italiani, ancorchè salernitani misti a qualche napoletano, il motto è “facimme ammuina” o, meglio ancora, “facite ammuina”, perché i veri ispiratori di quella che è stato soltanto l’inizio di una rivolta più sostanziosa, e con effetti preoccupanti, si nascondono dietro le quinte nell’esercizio dell’antico vezzo tutto italico basato essenzialmente sull’armiamoci e partite. E si fanno trascinare in tanti tra addetti, operatori, organizzatori e qualche imprenditore del mondo molto complesso dell’attività marittima. Nell’ultimo articolo dedicato a questa incresciosa vicenda del porto di Salerno ho cercato di far passare un concetto diverso da quello semplicistico e pericoloso, accreditato purtroppo anche da chi dovrebbe invece cercare di buttare acqua sul fuoco, che per risolvere i problemi di Napoli bisogna sacrificare Salerno sull’altare della patria. Non è assolutamente così, qui si va verso la creazione di una Autorità di Sistema Portuale (A.S.P.), cioè un soggetto completamente nuovo che scavalca le preesistenti Autorità Portuali (A.P.) e le unifica in un unico sistema portuale nel cui organismo Napoli e Salerno avranno sicuramente una rappresentanza paritetica (come suggeriscono le indiscrezioni provenienti da fonti ministeriali ben accreditate); un organismo composto da tre membri (uno per ognuno dei due porti, uno di nomina regionale) con presidenza di espressione diretta del governo centrale. Sempre secondo le fonti ministeriali, ci sarà anche un unico Regolamento delle Concessioni (R.C.) di emanazione nazionale (come nello spirito della legge 84 del 94, finora sempre disattesa) al fine di evitare fenomeni di scorretta concorrenza nella vendita o nell’acquisizione di beni e servizi a prezzi ribassati in maniera sleale sul mercato interno ed internazionale (il cosiddetto “dumping” sulle tariffe) che, di per se, già evidenzia una decrescita fisiologica connessa non solo alla perdurante crisi economica mondiale ma anche, se non soprattutto, alla mancanza di una regimentazione a livello europeo verso cui dovrà essere forzatamente indirizzato il sistema complessivo dell’attività portuale italiana in un discorso di ammodernamento radicale della sua logistica. Da questo discorso deve essere allontanato qualsiasi tentativo di arroccamento in uno stretto sistema portuale localistico che fatalmente porterebbe ad una implosione delle stesse attività anche se, oggi come oggi, vengono indicate come perfettamente efficienti e funzionanti vuoi per capacità dei singoli che dei gruppi operativi. E questo modo di vedere le cose deve necessariamente essere capito anche a Salerno che senza una strategia più ampia è destinata a perdere le future battaglie di sopravvivenza, soprattutto quelle disperatamente tese alla ricerca di un’autonomia locale che non ha più senso. Insomma se Salerno si chiude su se stessa rischia seriamente di implodere in quanto non avrà alcuna possibilità di competere alla pari sul grande scacchiere internazionale che sta velocemente variando non solo le strategie commerciali, crocieristiche e diportistiche ma anche le rotte mediterranee e transoceaniche. A mente serena bisogna anche ammettere che la frase del governatore Vincenzo De Luca, “Così com’è l’accorpamento non funziona. Non vorrei facessimo il bis della riforma delle province”, pronunciata nel corso della sua apparizione televisiva del 29 gennaio scorso, è emblematicamente esaustiva di un ragionamento complessivo che ho cercato di riassumere in questo articolo. Difatti è proprio questo il rischio che la riforma delle attività portuali italiane può correre se da più parti si avanzano pretese quasi assurde come quella portata avanti dai “cluster marittimi” salernitani contro tutto e tutti. In definitiva il governatore prende spunto dall’annacquamento della riforma delle province per lanciare un messaggio ben preciso a tutti, governo compreso, sui rischi di uno stravolgimento dei nodi essenziali della riforma che è e rimane, invece, costruttiva e non distruttiva rispetto alle specifiche individualità ed autonomie nel complesso di un armonico, competitivo e paritario nuovo modo di concepire la portualità generale italiana. Ma dalle ben accreditate fonti ministeriali arriva, come sussurrata, la notizia che il ministro Graziano Del Rio in persona sarebbe disposto a venire a Salerno per confrontarsi con il cluster marittimo al fine di ascoltarne i relativi timori e rassicurare loro e tutto l’ambiente sui paventati timori che il “matrimonio” con Napoli possa essere nocivo e devastante per un porto come quello di Salerno che non può più vivere cavalcando l’eterno ritornello del “Si Saliern‘ teness’ u puort’, Napule fuss’ muort’”. Salerno non è più la cenerentola del passato che calzava la scarpetta magica per rincorrere il principe azzurro; Salerno è ormai, grazie ad un ottimo modello organizzativo, una realtà ben consolidata a livello nazionale ed internazionale che si muove in ambito particolarmente penalizzato dalla sua orografia e dalla sua olografia; ed è per questo che il suo inserimento in un discorso complessivo a livello regionale non può fare altro che bene all’intera comunità portuale ed alla stessa economia del territorio. Ma per accogliere ed ascoltare il ministro c’è bisogno di una pacificazione degli animi e di un rasserenamento dell’ambiente, soltanto così potremo parlare e contare molto di più. Tutto il resto è soltanto “ammuina” che non porta da nessuna parte. Questo, dunque, è un “matrimonio che s’ha da fare” a tutti i costi, costi quel che costi.
direttore: Aldo Bianchini
Dopo i miei precedenti interventi sulla situazione del porto commerciale di Salerno, fedelmente riprodotti su codesto e altri giornali on line, sarei tentato di non scrivere ulteriori commenti, avendo constatato quale piega stanno prendendo gli avvenimenti, specie in ordine al decreto di ristrutturazione delle Autorità Portuali.
Per quanto a mia conoscenza, non sembra ci siano state in altre città, ugualmente coinvolte nel suddetto processo riorganizzativo, proteste eclatanti come quelle riferite a Salerno dalla stampa locale.
Qui, diverse organizzazioni di operatori portuali, con manifestazioni mediaticamente molto visibili e coinvolgenti, fanno conoscere la propria posizione nettamente contraria alla eliminazione dell’Autorità Portuale di Salerno, che sarebbe destinata a divenire una semplice appendice dell’Autorità di Sistema Portuale – unica per la Campania – con sede a Napoli.
Si paventa infatti che “Napoli deciderà per Salerno la destinazione d’uso delle aree portuali, l’indirizzo delle operazioni portuali, il contenuto delle licenze per l’esercizio di impresa portuale, gli investimenti da realizzare”.
Non mi sentirei di escludere al cento per cento l’eventualità che questo amaro epilogo si verifichi realmente.
Non trovo tuttavia verosimile che la futura nuova dirigenza della portualità campana possa effettivamente ipotizzare e addivenire ad uno scenario come quello temuto e disconoscere quanto Salerno possa continuare a dare in termini di efficienza operativa e organizzativa delle attività legate al porto, nonché ignorare i volumi di traffici nazionali e internazionali che esso è – e sarà ancora – in grado di gestire.
Sarebbe infatti una irrazionale scelta autolesionistica con ricadute negative sull’intero sistema campano, se essa si orientasse verso una scelta fatta di rinunce non giustificate e immotivate.
Eppure neanche possono essere bollati tout court come inutili difensori del proprio orticello quanti ritengono di dover mettere in guardia contro quell’ormai predeterminato “fine della rappresentazione”, anche se lo fanno forse in maniera eccessivamente pessimistica.
Direi piuttosto che costoro, messi da parte piccoli giochi di potere rivolti alla sola difesa di interessi particolari, dovrebbero articolare le loro istanze in maniera propositiva, prefigurando, nell’ambito della normativa in via di definizione, l’architettura operativa della nuova struttura che, proprio perché riferita a un territorio più vasto, non elimini ma incrementi le peculiarità delle singole componenti e ne valorizzi le caratteristiche.
In tale ottica si inquadrerebbero meglio anche le esigenze legate all’ampliamento e alla diversificazione delle dotazioni infrastrutturali di ciascuno degli attori in gioco. Per esse infatti si disporrebbe di un ventaglio più ampio di valutazioni per decidere il grado ottimale delle intermodalità da realizzare per i singoli scali marittimi, considerati non a se stanti ma inseriti in un sistema più complesso e con modalità operative diverse e non confliggenti.
Di riflesso, troverebbero maggiore concretezza le opportunità di investimenti per effetto di leggi, regolamenti e dispositivi volti allo sviluppo delle aree meridionali.
Per quanto sopra ritengo possa risultare controproducente la proposizione agli Organi Ministeriali di un NO a prescindere e sorretto da motivazioni discutibili. Esso infatti potrà apparire come frutto di preconcetti basati essenzialmente su visioni troppo localistiche, e pertanto difficilmente recepibili in una Riforma generalizzata di sistema.