SALERNO – E’ molto importante dare ascolto ai nostri lettori che spesso aprono dibattiti sicuramente interessanti sulle notizie che noi cerchiamo di raccontare mettendoci sempre dalla parte del semplice spettatore (che poi diventa lettore) ben sapendo che ognuno ha le proprie idee dichiarate con molta convinzione. E’ il caso di un nostro lettore, l’ing. Gaetano Perillo, che segue da tempo e con grande attenzione tutto quello che noi andiamo scrivendo e raccontando sul porto di Salerno e sulle sue potenzialità, forse anche sovradimensionate rispetto agli spazi molto ristretti per la sua funzionalità, che comunque si vanno sempre più affermando non solo in campo nazionale ma anche in campo internazionale. La crescita che in molti definiscono “il miracolo del porto” è sicuramente ascrivibile all’ottimo “modello organizzativo e lavorativo” che Andrea Annunziata, presidente dell’Autorità Portuale, ha prima ideato e poi calato tout court nella conduzione di un ente capace di produrre ricchezza economica e occupazione per tutto il territorio della provincia di Salerno; ed in tempi magri come questi la cosa non è passata inosservata neppure nelle stanze ministeriali. Nel precedente articolo abbiamo parlato dei risultati raggiunti anche nel corso del 2014 dall’Autorità Portuale con un sensibile incremento dei dati riferibili al 2013 ed abbiamo anche parlato delle strutture ed infrastrutture che potrebbero assicurare al porto la capacità di sopravvivere alla crisi generale e ad allontanare il rischio di un’implosione a causa della mancanza di spazi utili alla migliore movimentazione delle merci anche al fine di ridurre i tempi di attesa che sono la mannaia per tante aziende di trasporti marittimi. L’articolo è stato ovviamente letto dall’ing. Perillo che lo ha commentato così: “Tutto ok. Mi risulta però non proprio rispondente alla realtà, egr. dr.ssa Mascolo, l’affermazione – nella parte finale del suo articolo – che la costruzione dei due trafori della Porta Ovest assicurerà “il collegamento diretto del porto con gli svincoli autostradali e ferroviari”. Essa è vera solo in parte, essendo ormai noto che i porti realmente e direttamente collegati con le reti ferroviarie sono quelli nei quali il trasbordo di merci e container dal vettore galleggiante a quello su rotaia (e viceversa) avviene direttamente sulle banchine e non a distanza di chilometri per il tramite di automezzi su gomma. Questo, fino a prova contraria, a Salerno continua a non verificarsi”. Non ha tutti i torti l’ing. Perillo che dimostra di essere anche esperto in progettualità portuale, una cosa che non è da tutti. Non può, comunque, disconoscere che il porto di Salerno, non avendo una ferrovia diretta, deve necessariamente trovare una soluzione mediata cercando di collegare il porto con la ferrovia con una buona organizzazione degli spazi retro portuali che sorgeranno a monte della zona del Cernicchiara da dove il collegamento con i due capi ferroviari dell’agro nocerino e della piana del Sele appare obiettivamente più semplice rispetto al collegamento che si potrebbe ipotizzare direttamente dal porto senza passare per il trasbordo su gomma. Il porto di Salerno, come tutti sanno, aveva un allacciamento ferroviario diretto con la stazione ff.ss., ma quel binario (come già detto su questo giornale) fu con una certa leggerezza soppresso e fu abbattuto anche il piccolo viadotto che lo collegava ai binari nazionali baipassando la strada statale (che attraversa Salerno) all’altezza del Forte La Carnale. Col senno di poi è facile dire che fu una scelta avventata e poco felice perché assunta tecnicamente da un solo personaggio politico senza alcuna concertazione e conferenza di servizi; ma se andiamo indietro nel tempo con la mente dobbiamo anche riconoscere (e l’ing. Perillo potrà anche essere d’accordo !!) che poco più di dieci anni fa eravamo in un momento di forte appannamento della funzionalità del nostro porto e che sembrava sufficiente il trasporto su gomma per risolvere tutti i problemi. Difatti un po’ di anni prima della soppressione del binario porto-stazione era stata fatta un’altra scelta storica, quella cioè di costruire il viadotto Gatto che andava proprio nella direzione di cui prima, cioè di implementare il trasporto su gomma in danno di quello su ferro. Anche quella, più di ogni altra, fu una scelta sbagliata, ma quei tempi su un abbrivio politico senza precedenti avviarono la grande scelta generale del Paese che ipotizzò una implementazione dei trasporti su gomma, salvo poi a rinsavire e cominciare a rivedere quelle scelte. Soltanto dopo arrivò a Salerno la soppressione del raccordo ferroviario; anche se fu una scelta scellerata e che oggi dovrebbe essere rimpianta anche da chi la impose con forza. La stessa domanda, forse, la politica nostrana si è posta quando dovette decidere per la grande progettualità della Porta Ovest (decisa sempre in maniera autocratica e monocratica !!) anziché un “traforo ferroviario” dal porto verso la stazione di Nocera Inferiore. Ma anche questa scelta, l’ing. Perillo dovrà riconoscerlo, è stata la figlia di quelle grandi scelte scellerate che nel Paese privilegiarono i trasporti su gomma; bisognava costruire le grandi vie di collegamento autostradali che rilanciarono notevolmente le piccole e medie aziende di autotrasporti, ritenendo che le attività portuali non avrebbero potuto assicurare lo sviluppo economico ed occupazionale che, invece, oggi si riconosce in senso globale a tali attività. Probabilmente ora è troppo tardi, almeno per Salerno, per riconvertire il tutto e ricominciare daccapo. La scelta, quindi, del traforo stradale di Porta Ovest appare come l’unico toccasana per continuare a far crescere il nostro porto, l’economia e l’occupazione.
Non me ne voglia la dr.ssa Mascolo se, pur condividendo in buona sostanza le sue argomentazioni, anch’io debba riandare ai decenni scorsi e riferire sugli “avventurosi” sviluppi del Porto Commerciale di Salerno, come li vedevo da lontano, dopo aver lasciato la mia città natale (anche allora molti giovani si avviavano verso il nord!!).
Negli anni ’50 e ’60 si decise (e così sia … ) che la struttura dovesse rimanere dove inizia la costiera amalfitana per essere successivamente potenziata con l’allungamento dei moli, con l’ampliamento dell’area di bacino, col dragaggio dei fondali e con l’allargamento delle banchine. Non è dato sapere quali furono le previsioni e le valutazioni fatte allora in merito all’impatto del traffico dei mezzi di trasporto terrestri sulla esigua zona retro portuale e sui rioni urbani a ridosso dello scalo.
Si contava forse di usare ancora, chissà come e per quanto, l’anacronistico e irrazionale binario esistente sul lungomare? Ma in quegli stessi anni fervevano anche i lavori per l’allargamento verso il mare dello stesso lungomare e per la creazione di aiuole ove mettere a dimora gli alberi che ora lo abbelliscono!! Poteva continuare in tale prospettiva il viavai di vagoni ferroviari lungo quel percorso cittadino?
Lei dice che la soppressione di quel binario fu una scelta “poco felice”, “avventata”, “scellerata e da rimpiangere”. Non importa tanto chi ne fu l’artefice, ma io la ritengo invece “tardiva” (occorse addirittura un fatale, tragico incidente mortale per decretarne l’eliminazione!!).
Parimenti, insensata e poco accorta fu la considerazione di chi non capì che, polarizzandosi solo sul potenziamento del bacino a mare, si sarebbe creato come un grosso “calabrone”, capace si di ben sostenersi in volo con articolazioni chiaramente sottodimensionate, ma certamente poco competitivo per svolgere un ruolo incisivo nell’agone dei traffici marittimi internazionali, come era nelle aspirazioni e nelle aspettative.
Neppure ritengo una giustificazione plausibile attribuire a fattori contingenti la sottovalutazione del vulnus rappresentato dalla mancanza di un efficiente collegamento diretto alla rete ferroviaria nazionale, quali ad esempio la fase di appannamento vissuta dal porto negli anni novanta, oppure il fatto che andassero di moda le autostrade!
E quand’anche fosse stato valido questo concetto, una soluzione per superare le difficoltà rappresentate dalla orografia retro portuale doveva proprio essere individuata nell’inconsistente e inquietante Viadotto Alfonso Gatto? (a proposito, dove erano e dove sono i … sempre attenti e vigili difensori dell’integrità paesaggistica dei territori?).
Eppure, esisteva un precedente esempio che poteva dare qualche ispirazione più razionale e di minore impatto ambientale: la Galleria S. Lucia, realizzata dalle FF.SS per affrancarsi dalla schiavitù di far superare ai propri convogli – sulla linea Napoli/Salerno – il valico di Cava dei Tirreni nei due sensi di marcia. Dopo la sua realizzazione negli anni settanta, venne a mancare per i passeggeri dei treni la vista improvvisa e sorprendente del panorama che appariva quando si arrivava all’altezza di Vietri sul Mare, ma in compenso la messa in esercizio di quella galleria ha apportato enormi vantaggi, non ultimo la sua utilizzazione anche per l’Alta Velocità.
So che non è bello autocitarsi, ma ne parlai nell’ottobre del 2003 in occasione del Convegno sulle Autostrade del mare, allorché esposi una mia idea progettuale di traforo a doppia canna a servizio del porto di Salerno, su cui ora evito di dilungarmi avendola già illustrata in miei precedenti interventi.
Per la mia attività lavorativa non avevo alcun particolare interesse personale per l’attuazione di quel progetto, ma portavo un mio contributo scaturito dalla conoscenza di tante altre realtà nazionali ed estere, dove il connubio trimodale (come si dice ora!) strade-rotaie-mare era già in atto e/o veniva potenziato. Avevo (ed ho ancora) la convinzione che l’auspicato sviluppo dello scalo commerciale non poteva assolutamente prescindere da un completo, articolato ed efficiente sistema di trasporto in terra ferma. Mi apparvero quindi risibili le obiezioni di qualche tecnico circa i rischi e le difficoltà connesse alla realizzazione di quegli scavi. Un paese, che costruiva trafori alpini già nell’Ottocento (addirittura i Borbone avevano fatto scavare in assoluto la prima galleria sul suolo italiano proprio di lì a poche decine di chilometri!!), che disponeva di tecnici, tecnologie e mezzi all’avanguardia, non poteva nutrire dubbi sulla fattibilità di una simile infrastruttura.
Infatti, la smentita a quei timori è venuta con i trafori della Porta Ovest, in corso di realizzazione. Peccato che, dal mio punto di vista, essi siano orientati in tutt’altra direzione rispetto alla mia ipotesi. Mi auguro che rappresentino un vero “toccasana” e diano luogo alla soluzione “mediata”, l’unica ritenuta possibile stante il “vincolo ormai acquisito”(?) della mancanza di un raccordo ferroviario diretto al porto. Dico questo in quanto ancora mi resta qualche dubbio su come avverrà la “buona organizzazione degli spazi retroportuali che sorgeranno a monte della zona del Cernicchiara da dove il collegamento con i due capi ferroviari dell’agro Nocerino e della piana del Sele appare obiettivamente più semplice rispetto al collegamento che si potrebbe ipotizzare direttamente dal porto senza passare per il trasbordo su gomma”. Infatti, a meno che non sia prevista viabilità aggiuntiva in uscita dal Cernicchiara, tale da non interferire con l’attuale innesto autostradale verso nord e verso sud, sarei cauto nell’affermare che cesseranno le situazioni di disagio a cui si assiste per l’afflusso nella stessa area dei mezzi pesanti costretti ora a servirsi del Viadotto Gatto.
Trovo infine veramente strano che, a fronte delle opportunità offerte dall’Unione Europea di accedere a finanziamenti anche cospicui per realizzazioni infrastrutturali di ampio respiro, non si sia perseguita questa strada e nessuno, in campo politico, accademico o gestionale, sia stato tentato dalla voglia di cimentarsi in tale esercizio progettuale.
Direi che forse è mancato anche un adeguato stimolo da parte dei mezzi di informazione.
Ma … forse sono corrette le due frasi terminali dell’articolo : la prima di rassegnata accettazione e la seconda di garbato ottimismo.