SALERNO – Se c’è mai stato un giudice a Salerno dotato di un “quid investigativo” fuori del comune, questo giudice ha un nome ed un cognome: Michelangelo Russo. Che poi non abbia concluso nessuno dei grandi processi, fino a sentenza passata in giudicato, che pure ha avuto nella sua disponibilità, è un altro conto ed è tutto da vedere se è così. Questo, forse, è dipeso anche dall’inconsistenza del parco di risorse umane e tecniche che ha avuto a sua disposizione; indossare una divisa o vincere un concorso in magistratura non vuol dire essere ottimi investigatori e, soprattutto, essere dotati di un innato quid investigativo come Michelangelo Russo il quale si è trovato per anni a muoversi quasi come un ribelle nel deserto dei tartari., fino a diventare una specie di Lawrence d’Arabia nella impari lotta contro la corruzione e la dissoluzione della “pubblica amministrazione” (P.A.). Michelangelo Russo è l’unico magistrato salernitano ad unificare nella stessa immagine del personaggio la cultura giuridica, l’arte, l’artigianato, l’affannosa ricerca ed acquisizione di giocattoli e di pupi per il presepe ed anche l’architettura-urbanistica (per specifico interesse lavorativo) e la scultura. Io scrivo sempre quello che penso e per questo sono stato, in passato, anche oggetto di interesse giudiziario da parte dello stesso Russo ma anche di rispetto per quello che andavo scrivendo e raccontando sulla tangentopoli salernitana di cui il magistrato Russo è stato un assoluto ed indiscusso protagonista.
Ma chi è e come è nato “il mito” del PM d’attacco Michelangelo Russo ? Dal punto di vista giudiziario Michelangelo Russo nasce e cresce negli anni ‘70 in una della Procure più importanti, se non la più importante, del Paese, quella di Milano, dove viene subito ammesso nei salotti molto importanti dei magistrati Antonio Bevere ed Emilio Alessandrini (quest’ultimo ucciso dalle Brigate Rosse di Prima Linea il 29-01-.1979); si forma sopra un’incudine e sotto un martello mostruosamente pesanti; la sua immagine e, forse, parte dei suoi aspetti caratteriali vengono forgiati in un clima surreale in cui viene spianata la strada per l’attacco finale alla P.A. (pubblica amministrazione) ed alle sue connessioni con il potere politico e malavitoso; in quegli anni nasce e prende piede l’idea di una pulizia radicale della pubblica amministrazione italiana che vedrà la fase esecutiva soltanto una ventina di anni dopo. Difatti in quel famoso “salotto culturale”, frequentato anche da Tiziana Parenti (magistrato che poi approderà in Forza Italia e che svelerà moltissime cose riguardo quel salotto), e soprattutto dal mitico Toni Negri (il professore dell’Università di Trento che teorizzò l’attacco allo stato attraverso le B.R.) fu foriero di grandi novità nell’ottica di un rinnovato spirito di legalità per la legalità, ad ogni costo. Sbarca a Salerno in una Procura sonnacchiosa e svegliata ogni tanto dagli strattoni di un altro magistrato di punta, Alfonso Lamberti (detto “Fonz ‘a manetta”); presto entrambi verranno quasi messi da parte, forse isolati, anche se le nuove leve (Luciano Santoro e Claudio Tringali e pochi altri) si affiancano lestamente nella battaglia di principio e di legalità in una città in preda alla corruzione ed alla confusione politica che il gip Mariano De Luca, in una ordinanza del 21 set. 1992, così descrive: “Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe di istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari … il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto …”. Una descrizione della Salerno dell’epoca molto dura e tranchant, ma col senno di poi si può anche facilmente convenire con il gip De Luca che con il suo cognome, soltanto con quello, sembra quasi un oracolo del prorompente arrivo sulla scena dell’altro De Luca, quella che ancora oggi governa la scena. In effetti il gip De Luca scrive l’ordinanza (per rigettare la richiesta di scarcerazione dell’ingegnere Raffaele Galdi (uno dei due compassi d’oro) quando già la frittata è ormai fatta e la classe politica, almeno quella socialista e democratica cristiana, è stata pesantemente attaccata e messa alle corde dal giovane magistrato Michelangelo Russo che ha preso le mosse da lontano, intelligentemente, da un’inchiesta sulla Fondovalle Calore nata per caso (ma fu proprio così o tutto era già scritto e preordinato ?) ed apparentemente innocua; inchiesta avviata sulla base di un paio di lettere anonime che denunciavano la spartizione politica del grande lavoro pubblico per la costruzione della strada a scorrimento veloce e la probabile esistenza di possibili mazzette. La tangentopoli nazionale è già partita proprio da Milano dove Russo è nato e cresciuto ed è gioco facile per quella di Salerno apprendere rapidamente azioni e sistemi attraverso il naturale collegamento con Salerno ad opera di Michelangelo che trascina a Milano, quasi come a scuola, due suoi colleghi. Ma il giudice Russo non si ferma e crea, letteralmente dal nulla il famoso “pool mani pulite di Salerno” che venne presto denominato “Tre Di Pietro anche a Salerno” ed era composto da Michelangelo Russo, Vito Di Nicola e Luigi D’Alessio; i tre avviarono la grande operazione di epurazione e di spurgo della corrotta vita politica e imprenditoriale, con ramificazioni nella malavita organizzata, di Salerno. Dopo poco più di un anno il pool si sciolse, anzi per la verità dal pool venne escluso Russo ed incluso a sorpresa il giovane pm Antonio Scarpa. A distanza di oltre vent’anni si può, forse, dire che i sistemi inquisitori ed aggressivi del giudice Russo non piacevano né al capo della Procura, Ermanno Addesso, né agli altri componenti del pool; ma Russo non si arrese e continuò la sua battaglia personale contro il malaffare che si annidava all’interno della P.A. con altre clamorose inchieste che davvero fecero tremare le vene e i polsi degli inquisiti. Poi ci fu la parentesi lagonegrese dove svolse il ruolo di Capo della Procura e dove non solo allevò il suo allievo prediletto, quell’ Henry John Woodcock che qualche anno dopo arrestò addirittura Vittorio Emanuele di Savoia (legittimo erede del regno d’Italia) ma pose le basi per la più grande operazione giudiziaria contro la Chiesa Romana mai azzardata fino a quel momento con la perquisizione a carico del cardinale di Napoli Michele Giordano, deceduto nel dicembre del 2010. Con la Chiesa, però, Michelangelo Russo aveva già tentato il colpo grosso nel 1993 con l’inchiesta sui famosi soldi che la Curia aveva versato, forse in nero, al musicista e direttore d’orchestra Sergiu Celibidache per via di un concerto che doveva tenersi nell’atrio del Duomo di Salerno e che fatalmente fu annullato; quello fu il primo vero duro colpo in danno dell’allora arcivescovo Gerardo Pierro. Questo il quadro che a grandi linee ricostruisce il passato del giudice Russo, un magistrato che (checché se ne dica !!) ha cercato di cambiare il corso della politica salernitana e, forse, in un certo senso ci è anche riuscito andando a colpire i gangli vitali e purulenti della stessa. Sicuramente non l’ha cambiata totalmente anche perché spesso è stato lasciato solo sia per invidie personali, sia per i gravi rischi cui si esponeva senza tentennamenti. In buona sostanza è stato, probabilmente, l’unico magistrato italiano ad aver arrestato tutti, sia quelli di destra che quelli di sinistra; forse ha salvato soltanto Vincenzo De Luca ma solo perché, all’epoca, non l’aveva mai inquisito. In questi giorni sto seguendo con attenzione tutto ciò che scrivono i giornali sulla presunta amicizia esistente tra Michelangelo e Vincenzo; scrivono solo fregnacce e cercano di colpire il magistrato con l’ipotesi più sbagliata esistente (quella delle presunte pressioni su Gabriella Nuzzi per cooptare i segreti di quelle due devastanti inchieste sul Sea Park e sulla MCM iniziate da Filippo Spiezia) perché in quella inchiesta sia Russo che Santoro cercarono solo di esercitare quello che era un loro precipuo diritto essendo innanzitutto “procuratori aggiunti”, in secondo luogo perchè avevano la delega alla “pubblica amministrazione” ed infine perché lo stesso procuratore capo Luigi Apicella aveva autorizzato, per iscritto, a seguire le inchieste della Nuzzi che, a conti fatti, costarono a questa Città soltanto clamore e denaro pubblico.
Se la Nuzzi, con l’aiuto di De Mgistris, non si fosse difesa così strenuamente e non avesse accusato pubblicamente i due colleghi magistrati, probabilmente non sarebbe neppure scoppiata tutta quella querelle politico-giudiziaria che oportò alle richieste di arresto di De Luca + altri ed alla successiva nefasta “operazione Catanzaro” che costò il posto al malcapitato Apicella. La cronaca giudiziaria va raccontata incastrando i vari pezzi a mosaico e mai schematizzata in poche veline, così facendo si altera anche la storia della Città; un giornale non è Sky/Tg/24 che da solo brevi e intense notizie, un giornale deve dare le notizie e deve anche commentarle sulla base della cultura giornalistico-giudiziaria di chi è deputato a scrivere ogni giorno di cronaca giudiziaria; così facendo si venderebbero anche più copie degli stessi giornali. Dico questo perché nei giorni scorsi sono stato contattato da diverse persone che desideravano avere notizie sulla presunta amicizia tra Russo e De Luca, a questi ho sempre precisato che la cronaca giudiziaria può essere letta in due modi e che per questo è necessario l’approfondimento. Su “Il Mattino” del 6 dicembre scorso ho letto episodi senza senso riferibili a probabili nessi amicali di Michelangelo con Vincenzo e favori di quest’ultimo anche a vantaggio degli stessi familiari di Michelangelo; il tutto senza un minimo di approfondimento ricostruttivo della storia dei fatti e personale dello magistrato. Non ce l’ho con i singoli giornalisti che sono spesso chiamati a lavori improbi per riempire, da soli, intere pagine dei giornali; ce l’ho con chi dirige ed organizza i giornali.
Del resto l’amicizia un tempo esistente tra Michelangelo e Vincenzo è cosa risaputa, conclamata, ma non per questo peccaminosa, come ad esempio l’appuntamento annuale presso il Lido La Conchiglia per una conviviale nel corso della quale spesso il giudice si esibiva anche come chitarrista e cantante. Non ci vedo niente di male, anzi questo può essere un modo di portare la cultura della legalità all’interno di gruppi politici-amministrativi; l’unica cosa che probabilmente è accaduta è stata la circostanza che le inchieste condotte da Russo tra la fine degli ’80 e l’inizio degli anni ’90 hanno spianato, sicuramente in maniera involontaria, la strada verso il potere assoluto di De Luca; e questa eventualità è ovviamente sfuggita ai giornali. Da qui arrivare a chiedere che Russo lasci il processo perché il fratello Remo è stato nominato dal Comune o perché lo stesso Comune ha erogato contributi in favore della moglie per una mostra artistica mi sembra materia davvero risibile anche perché il fratello è uno dei migliori commercialisti sulla piazza salernitana avendo ereditato lo studio del padre e la moglie è notoriamente una collezionista di pezzi e di giocattoli artistici, del resto apprezzati dallo stesso on. Giuseppe Fava che oggi ha sottoscritto l’interrogazione parlamentare contro lo stesso Russo. Oltretutto il magistrato ha dato prova di grande equilibrio e di capacità professionale in questi ultimi anni riuscendo a convivere con personaggi di destra ed anche di sinistra; è stato portato a Roma dall’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio come consulente per ragioni ambientali (da qui la famosa inchiesta sulla Fondovalle Calore !!) dove ha iniziato un lavoro durissimo di scrittura del testo unico delle leggi sull’ambiente, lavoro proseguito poi con la ministra Stefania Prestigiacomo. Ora è di fronte a quello che potrebbe essere il capolavoro della sua vita da magistrato e cioè giudicare l’ex sindaco ed attuale governatore della Campania Vincenzo De Luca non su un semplice “reato linguistico” per il quale è stato condannato in 1° grado ad un anno di reclusione (come dice il governatore) ma su una probabile accusa di peculato che la Procura si appresta a chiedere per la vicenda del termovalorizzatore, materia ambientale della quale Michelangelo Russo è il massimo esperto esistente nel tribunale di Salerno. Se ne riparlerà l’8 gennaio 2016 giorno in cui è fissata la prima udienza del processo di appello, sempre che non venga ulteriormente rinviata (l’udienza era fissata per l’11 dicembre) alle calende greche con il rischio dell’immanente prescrizione che dovrebbe arrivare tra agosto e settembre del 2016. Sarebbe un peccato gravissimo che andrebbe a ricadere tutto sulla magistratura salernitana che (con Russo o senza Russo e al di là delle giuste motivazioni del collegio difensivo che è stato opportunamente ricostruito con la fuoriuscita di Antonio Brancaccio e la new entry di
Andrea Castaldo) non riesce da oltre venti anni a giudicare serenamente l’uomo politico sicuramente più forte di questi ultimi lustri. Non riuscirò mai a capire o digerire la circostanza di fissare, tempo fa, per il processo Sea Park una delle udienze fondamentali per il giorno 21 settembre che è la festa del Patrono di Salerno; questo la gente non lo dimentica e neppure lo perdona. Sarebbe anche un gravissimo danno anche, se non soprattutto, per l’immagine dello stesso Michelangelo Russo che non avrebbe la grande opportunità di dimostrare a tutti la sua specchiata autonomia e la sua innata indipendenza di giudizio.