SALERNO – Domenica mattina 6 dicembre scorso il prestigioso quotidiano francese Aujourd’hui en France ha titolato “Tout le monde joue gros”. Leggendolo mi sono subito posto la più classica delle domande: “Ma quante volte il mondo ha giocato grosso ?”; la risposta che mi sono dato è stata semplice: “Sempre”. Difatti giocare grosso è insito nell’essere umano e della sua storia; giocarono grosso i primitivi, giocarono grosso i fenici, gli egiziani, i macedoni, i persiani, i greci, i romani, i francesi, i tedeschi, gli inglesi e gli italiani. Esattamente come giocarono grosso i cosiddetti barbari che a ondate oceaniche invasero e distrussero la civiltà e come stanno giocando adesso le ondate migratorie e le truppe islamiche nel nome di un Dio che noi non conosciamo e che facciamo solo finta di rispettare. La differenza, la temporizzazione e la localizzazione “del” e “nel” “joue gros” è segnata soltanto dalla durata di ogni singolo fenomeno in quel quadro generale che è la ripetizione della storia. “Che la storia non si ripeta è un grande alibi per tutti. Che possa ripetersi, anche” (di Massimo Cheli); un’affermazione forte dalla quale, secondo me, non si può prescindere se vogliamo intavolare un minimo di discussione, una ricerca scientifica o un racconto di fatti e circostanze che hanno segnato nelle varie epoche le sorti del mondo scrivendo, attraverso i tanti “joue gros” la storia dell’uomo.
Ha provato a farlo, con assoluta rigorosità scientifica, il giovane ricercatore della facoltà di “Scienze della formazione” dell’Università di Salerno, Tommaso Indelli, che con il suo ultimo lavoro (ultimo soltanto in ordine di tempo) “Il tramonto della Langobardia minor. Longobardi, Saraceni e Normanni nel Mezzogiorno (X-XI sec.)” -prefazione di Claudio Azzara, editrice Gaia- si è letteralmente lanciato nell’analisi di un periodo storico tra i più complessi fino ad ora registrati; anche perché quel periodo è un spazio temporale che racchiude in se, nell’arco di poche centinaia di anni rispetto ai millenni, tutto quello che ciclicamente è sempre accaduto prima nel mondo conosciuto (Il Mediterraneo) e poi nel resto del pianeta mano a mano che veniva scoperto da chi riteneva di essere l’unico depositario della civiltà e, nei fatti, non lo era mai stato.
Insomma Tommaso Indelli nel riportare alla luce, con termini tecnici appropriati e raffinati, “un segmento cronologico importante non solo per la storia del Mezzogiorno d’Italia, ma anche dell’Europa mediterranea in cui proprio in quei secoli cominciavano a manifestarsi i primi germi della rinascita che caratterizzò lo sviluppo del continente fino al XIV sec.”, riesce a far rivedere e rivivere tra le righe del suo prestigioso ed imponente lavoro di ricerca la lunga scia lasciata dall’umanità nel suo viaggio interminabile attraverso i millenni della storia. Un gioco grosso che si è ripetuto sempre, e sempre allo stesso modo, con epiche lotte autoritarie, dittatoriali, oligarchiche e falsamente democratiche, perché quando di mezzo c’è la lotta per il potere la democrazia è sempre assente. Anche gli imperi più potenti e vasti, gli egiziani – i greci e i romani fino all’epoca carolingia, corrosi dalle lotte intestine e dai giochi di potere hanno finito col cedere al cospetto di ondate di orde solo apparentemente barbariche e assetate di potere. Il discorso è sempre quello, il potere economico che cresce a dismisura e che implode in maniera devastante autodistruggendosi per poi rinascere sotto altre spoglie. Del resto lo dice espressamente il giovane ricercatore Tommaso Indelli quando a proposito dell’era carolingia scrive:
“L’Europa carolingia fu devastata da nuove invasioni barbariche, dopo quelle che determinarono il crollo dell’impero romano, e popoli sconosciuti minacciarono i suoi confini: normanni, magiari, saraceni. L’impero carolingio andò, progressivamente disgregandosi sotto l’urto dei nuovi barbari e delle guerre tra i successori di Carlo Magno, mentre il potere pubblico si dissolse in una miriade di potentati autonomi -le signorie territoriali- che non riconoscevano più alcuna autorità. I re e gli imperatori erano ridotti, ormai, a figure simboliche”. La ricostruzione storico-politica di Tommaso Indelli è di una profondità assoluta e non lascia spazio alcuno all’esposizione di rischi generalizzanti e denigranti quali, al giorno d’oggi, sono rappresentati dallo spazio siderale del web (un mondo quasi sconosciuto -per riprendere la storia delle invasioni barbariche- con il quale tutti, purtroppo, dobbiamo necessariamente avere a che fare) dove è possibile trovare di tutto e il contrario di tutto, esattamente come i popoli dell’età carolingia pensarono di trovare nelle orde dei nuovi barbari; il suo studio è serio, preciso, coscienzioso e perfettamente scientifico.
Tommaso Indelli difatti, al contrario del web, con la sua ricostruzione anche filosofica del passato abbastanza recente, ci impone riflessioni serissime sul presente e sul futuro dell’intera umanità. Non a caso gli uomini di cultura dicono che la storia della filosofia è nella sua storia; e Tommaso Indelli, con al suo attivo una decina di splendide monografie, può a giusta ragione già essere annoverato tra gli uomini di cultura di una Città che sembra essersi persa definitivamente negli oscuri meandri dei “giochi del potere per il potere” e dall’alto del suo piedistallo di “ricerca culturale”, lontana anni luce dal groviglio del potere e dal pantano delle idee, può tranquillamente continuare ad illuminarci con i suoi scritti e con la certezza che dopo ogni tramonto ci sarà sempre una rinascita, fino alla fine dei tempi..