Aldo Bianchini
SALERNO – Sulla grave vicenda dell’Autorità Portuale di Salerno i due capitani dell’industria salernitana Agostino Gallozzi e Mauro Maccauro, quella che produce davvero, prima hanno lasciato che venisse morso il loro figlio più importante (il Porto) e poi giù con le lacrime, le proteste, le inutili lamentele. Proprio come fanno i coccodrilli che prima sbranano e ingoiano i propri figli e poi si dimenano dalla disperazione versando “lacrime di coccodrillo”, appunto. Prima di andare avanti con l’esposizione del mio pensiero (ogni tanto anche un giornalista ha il proprio pensiero !!) è giusto ricordare ciò che ho scritto nell’ultimo articolo dedicato alla portualità salernitana in cui parlavo dello “strano fronte del porto”: “”Questo è, forse, lo spauracchio per tutti gli operatori portuali che fino ad oggi hanno vissuto vita facile all’ombra di un grande modello organizzativo gestito dalla nostra Autorità Portuale; questo, in sintesi, è il rischio che Gallozzi non vuole correre.
Ma c’è anche un altro aspetto della battaglia, tardiva ed antistorica, che gli operatori portuali -sospinti dalla Gallozzi- cercano di far veicolare anche attraverso la stampa; mi meraviglio, difatti, che perdono tempo a cercare di controbattere un “mostro statale” che ha già deciso tutto invece di impegnarsi a che la futura Autorità Unica della Campania possa avere una guida generale a garanzia di tutti, una guida come quella di Salerno, e perché no proprio lo stesso presidente di Salerno””.
E’ questa, a mio avviso, la strada da perseguire con grande risolutezza ed anche temeriaretà al fine di far capire agli interessati (non sprovveduti, come dice Gallozzi) Ambrogio Prezioso (presidente industriali napoletani) e Pietro Russo (presidente Confcommercio Napoli) che, ovviamente, tirano l’acqua al proprio mulino ben sapendo della enorme forza propulsiva che potrebbe avere Napoli, rispetto a tutta la Campania, se venisse ben organizzata la sua portualità; e la cosa, lo sappiano Gallozzi e Maccauro, può avvenire anche nel giro di pochi minuti se dall’alto venissero una volta tanto azzeccate le mosse giuste da posizionare ai vertici dell’ ADSP (autorità di sistema portuale) e della DP (direzione portuale); due poltrone importanti e in grado di rilanciare immediatamente tutta la portualità campana. La storia del porto di Napoli non ha eguali in tutto il Mediterraneo, questo sembra che i due nostri capitani d’industria non lo tengano da conto.
Entrambi, Maccauro e Gallozzi, hanno perso più di un anno di tempo nel trastullarsi, nelle segrete stanze di Palazzo Santa Lucia di Caldoro e nel fort apache salernitano di De Luca, alla ricerca dello sponsor politico giusto dimenticando di portare nelle doverose riunioni le sacrosante istanze del territorio in generale e quelle del nostro porto in particolare. Ora ogni azione è tardiva, come dicevo prima, ed anche antistorica; infatti (tanto per ribadire qualche concetto espresso in altro modo da Gallozzi dinanzi alla Commissione Regionale Trasporti) se è vero che è la produzione industriale e dei consumi a favorire il triangolo Francia – Olanda – Russia nei mari del nord è altrettanto vero che Salerno, da sola, anche se ottimamente organizzata nella fase terminale del porto, non può andare da nessuna parte e rischia una implosione caotica: non ha industrie alle spalle e neppure un commercio florido, e mancano gli spazi per sopravvivere. Mi appare oltretutto spocchiosa la tesi di Gallozzi in merito al fatto di privilegiare i sei grandi distretti portuali piuttosto che le quattordici autorità; alla Gallozzi Group vorrei ribadire ancora una volta che quì non si tratta di favorire la portualità del nord-Italia e non si può affermare che le sei macro aree (Nord Ovest – Nord Est –Sud Ovest – Sud Est – Sicilia – Sardegna) sarebbero state più esaustive rispetto alla portualità accorpata in 14 autorità (Genova, La Spezia, Livorno, Civitavecchia, Trieste, Venezia, Ravenna, Ancona, Napoli, Taranto, Gioia Tauro, Messina, Palermo, Cagliari), anche se può benissimo essere creata la quindicesima;
qui si tratta soltanto di “capacità organizzativa” che a Salerno è stata ampiamente e diffusamente dimostrata dalla giusta ed oculata gestione ideata ed attuata da Andrea Annunziata, attuale presidente dell’Autorità Portuale. Una capacità organizzativa che non basta più per mantenere la situazione ai massimi vertici per ancora molto tempo; da qui la necessità dell’accorpamento fatto con regole precise da garantire un sistema organizzativo di primo livello e, perché no, anche una invasione di Salerno su Napoli. E’ su questo che i due capitani d’industria dovrebbero giocare tutte le loro carte e spendere le loro riconosciute capacità manageriali; è su questo che dovrebbero chiamare o richiamare alle sue responsabilità direttamente il governatore Vincenzo De Luca che, se vuole davvero passare alla storia, non deve fissarsi con la “sua piazza della libertà” o con le “luci d’artista” ma cercare di liberare Salerno dall’antico dilemma che se avesse il porto potrebbe anche superare Napoli. Oggi c’è l’occasione d’oro per fare tutto questo e per garantire a Salerno una brillante futura sopravvivenza; non serve a niente andare davanti al presidente della commissione trasporti per versare le proprie lacrime; anche perché il presidente è Luca Cascone che è un uomo di De Luca e come tale è più portato al silenzio verso il capo che all’azione autonoma e diretta; così si perde soltanto tempo prezioso. Lo ripeto, è De Luca che bisogna stanare per metterlo di fronte alle sue responsabilità; ai salernitani ha promesso mare e monti in campagna elettorale, finanche il ripristino del ramo ferroviario secco tra Lagonegro e Sicignano; è lui che bisogna trascinare allo scoperto, Luca Cascone, con tutto il rispetto, è come i cavoli a merenda. Ma in definitiva lo dice lo stesso Maccauro che a Salerno c’è una governance eccellente e che il porto di Napoli ha il record nazionale dell’inefficienza; e allora perché fermarsi davanti alla scrivania di un presidente di commissione quando nulla vieta di prelevare De Luca e Andrea Annunziata ed andare, a braccetto, direttamente davanti al ministro Del Rio per cercare di salvare il salvabile ? Si farebbero, così, due cose gigantesche; la prima di far passare De Luca alla storia (e sotto certi aspetti lo meriterebbe !!) e la seconda di assicurare all’Autorità Portuale Campana quell’efficienza che ora le manca e per garantire economia, turismo e occupazione anche al nostro territorio. E si otterrebbe, infine, anche un terzo risultato: quello di non far passare, nell’immaginario collettivo, la sensazione che tutto questo battage mediatico sia stato mosso da Gallozzi e Maccauro con l’unico obiettivo di tutelare i grossi interessi della Gallozzi Group che, badate bene, vanno comunque tutelati.
Non sono inusuali – e la lettura della stampa locale salernitana ne dà puntuale conferma – i contrapposti atteggiamenti che stanno assumendo gli operatori interessati al processo di riorganizzazione territoriale delle Autorità Portuali.
Invero, è sistematico che in occasione di ristrutturazioni riguardanti realtà le più disparate, si presentino sulla scena diversi attori, ciascuno difensore di istanze particolari e quindi pronto a recitare con ogni mezzo la propria parte.
Non sfugge tuttavia che la bontà del risultato finale si ottiene quando le componenti in gioco, ancorché portatrici di proprie specificità, riescono ad armonizzare le loro posizioni, fino a costituire un complesso organico in ciascuna delle sue articolazioni, sia in termini di funzionalità operativa che di architettura infrastrutturale.
È il compito che spetta, mediando dal mondo teatrale, al regista quando allestisce uno spettacolo: anche gli attori non protagonisti devono avere uno spessore e un grado di affiatamento ottimale con il resto della compagnia, se si vuole l’applauso finale.
Invece, le cronache di questi giorni, a commento del “paventato” riassetto della portualità campana, danno l’impressione che ci sia una sorta di coazione a muoversi in ordine sparso, per perseguire obiettivi disomogenei, dai contorni non chiaramente definiti e con la finalità di affermare interessi particolari, quasi che siano questi gli artefici ineludibili per il successo dell’operazione.
A questo punto, è veramente auspicabile che il regista (Ministero) e l’aiuto regista (Regione) sappiano allestire lo “spettacolo” badando non tanto e non solo all’eccellenza di questo o quel protagonista, ma verificando anche che lo scenario, le quinte, gli arredi, le entrate e le uscite dal palcoscenico(*) abbiano la giusta collocazione e siano pienamente funzionali alla bisogna.
Neanche si può prescindere dal contesto ambientale e dalle “istanze del territorio in generale”, le cui caratteristiche, esigenze e configurazioni inevitabilmente condizionano le scelte strategiche della logistica operativa e l’articolazione delle piante organiche preposte all’attività gestionale.
Potrebbe ad esempio non risultare trasferibile tout court, e garantire in toto immediati e analoghi successi nella realtà napoletana, il modello organizzativo vigente a Salerno, la cui indubbia validità trae origine anche dai fattori dimensionali più ridotti, ivi esistenti.
Non vorrei allora che, accettata oggettivamente e senza possibilità di smentita la superiorità di Napoli in termini quantitativi, riaffiori il vecchio dilemma della contrapposizione fra le città e, auspicando “l’invasione di Salerno su Napoli”, si ceda ad una forma di riflesso condizionato per riaffermare una sottintesa volontà di rivincita.
Ma, se Ulisse riuscì con un colpo di genio a neutralizzare Polifemo, è pur vero che prima dovette assistere alla morte di tanti suoi compagni di viaggio, divorati vivi dal gigante.
L’alternativa quindi dovrebbe consistere nel valutare in termini globali se debba prevalere il concetto della “frammentarietà” o quello della “subalternità, con cessione di sovranità”.
Generalmente alla prima viene associata una forma di impotenza che caratterizza il tutto, anche se qualche parte di esso brilla di luce propria.
La seconda può anche generare sensi di frustrazione, specie se si instaura a seguito di ordini superiori.
Tuttavia, quando risulta oculatamente organizzata e con ordinamenti gerarchici che assicurino snellezza decisionale e livelli operativi investiti di veri poteri decisionali intermedi, può contare sull’apporto consistente dell’Organismo sovraordinato – quando si tratta di maneggiare questioni complesse e onerose – e nel contempo mantenere le prerogative del proprio ruolo nell’ambito dell’area di giurisdizione.
Forse gli appartenenti allo “strano fronte del porto”, e anche coloro che non ne fanno parte, non dovrebbero disdegnare qualche ripensamento sulle proprie opinioni, se non altro per verificare se si inquadrano in una visione organica del problema e se convergono su una soluzione non penalizzante ma di crescita di tutto il sistema portuale campano.
(*) Nella fattispecie, il riferimento è alla intermodalità dei sistemi di trasporto merci.