SALERNO – Il torrente “Fusandola”, dopo 61 anni, ritorna impetuoso al centro dell’attenzione della Città. In verità io personalmente ho scritto, spesso, sulle pagine di questo giornale ma la mia voce, unica dissidente in un coro di consensi e di omaggi verso il potere, conta poco quando è solitaria. Del famigerato Fusandola, da quella tragica notte tra il 25 e il 26 ottobre del 1954, se ne parla spesso e per tante giuste ragioni; in ordine di tempo è divampata anche la polemica per il suo imbrigliamento del tratto finale per consentire i lavori per la costruzione di Piazza della Libertà (la più grande d’Europa e forse del Mondo, come dice Vincenzo De Luca !!) e del Crescent; ma sulla sua ormai conclamata non pericolosità si sono pronunciati tecnici e soloni, tutti sudditi della corte deluchiana, in una escalation di pareri che hanno rassicurato tutti, anche la magistratura che ha allontanato la sua attenzione dalla estrema pericolosità di quel canalone che rappresenta la “prima asta torrentizia” della Città. Il problema non esiste per il momento, e quando fra cent’anni il Fusandola esploderà di nuovo noi non ci saremo, come non ci saranno i soloni ed anche i tecnici che appaiono sempre più sicuri del fatto loro. Ma a Salerno c’è anche il pericolo del Rafastia che scorre sotto Via Velia, come il Rio Mercatello che passa proprio sotto l’edificio dove ha sede il Comando Provinciale dei Carabinieri; quest’ultimo rio fu addirittura deviato per consentire l’utilizzo di un suolo che era spaccato in due del torrente. Una vera bomba ecologica e non solo. Ma tanto tutto accadrà, perché accadrà, almeno fra cent’anni. Intanto godiamoci la descrizione o meglio i canti del professore Rino Mele (fonte Il Mattino del 25 ottobre 2015) che sulla vicenda scrive: “La notte dell’alluvione … il Fusandola gonfiò una piena che ricordava le violenze che la storia poi mette oltraggiosamente da parte tentando di scordare … altri torrenti e fiumi quella notte alzarono la loro improvvisa superbia, il Rafastia ruppe Via Velia come un cielo di carta, e vomitò la sua ira su una città notturna, inconsapevole, chiusa dietro le finestre”. E continua il docente a scrivere il suo pensiero: “Quell’alluvione ormai la ricordiamo col folclore delle citazioni, la piccola gloria delle fotografie fatte dai balconi, i padri che insistono a raccontare.
Da allora Salerno è diversa, conserva questo trauma mai superato, le centinaia di morti e feriti messi lì, da qualche parte, 318 ombre so9lidificate dalla dimenticanza che hanno, però, insegnato come Salerno e la Costiera siano una sola città, dallo scosceso delle colline alla superficie del mare”. Quelle ombre, purtroppo, non hanno avuto alcun peso sugli uomini e sui tecnici che hanno deciso di coprire il Fusandola, quelle ombre non sono entrate nei libri di scuola e soprattutto nei trattati universitari, quelle ombre non sono state mai conosciute dai “nuovi tecnici” esperti del territorio ma lontanissimi da quei momenti e pure da quei ricordi, forse ingigantiti dai loro nonni, ma pur sempre momenti davvero molto inquietanti e terrificanti. Era lunedì quel 26 maggio 1954; io avevo nove anni ed arrivai a Salerno la mattina del giovedì successivo; insieme a mio padre scendemmo in città dal paese natio (Muro Lucano in provincia di Potenza) per andare a fare visita a mio fratello maggiore che studiava a Salerno e si trovava nel collegio Genovesi nel cuore della città ferita. Vidi la terra smossa, i cumuli di detriti, la rabbia, la paura e la disperazione fissi sul volto della gente, il vento gelido del terrore sferzava l’aria autunnale, mentre mio padre cercava di spiegare l’accaduto passandomi le poche notizie che si conoscevano. A Salerno in quei giorni arrivarono tutte le grandi autorità del Paese per promettere ed anche per dare, per rassicurare sul futuro che realmente ci fu e che più di qualcuno tramutò in pesanti affari personali; come sempre, come da sempre. Ma ecco che ritorna, dopo 61 anni, il poeta e scrittore Rino Mele che fa l’esatta fotografia dell’odierna situazione: “Il Fusandola ora non è più un torrente ma un carcerato messo alle fondamenta del Crescent, il nuovo teatro in cui aspettiamo di recitare una tragedia che insiste a farsi rappresentare. Quel torrente con la sua dimenticata foce rivendica uno spazio che non gli appartiene più”. Ma questo gentile professore Mele i nuovi maestri dell’ambiente non lo sanno e non vogliono saperlo, tanto fra cent’anni, quando tutto accadrà, non ci saranno.
direttore: Aldo Bianchini
Illustre Direttore,
non si può che condividere la sua “saggezza”……….ma poi? Lei ci ricorda la Fusandola, e chi si ricorda dell’alveo comune Nocerino?
Sicuramente Lei è informato di quello che è successo a Nocera Inferiore, nella contrada Cicalesi, una ecatombe (lo stesso periodo di quando Salerno si è scoperta novella Venezia) e tutto per una manca ta elementare manutenzione ( consideri che noi dell’Agro paghiamo regolarmente il “Consorzio Bonifica”una tassa assolutamente inutile per tenere in piedi un carrozzone che fa acqua da tutte le parti). La sfido ha trovare un corso d’acqua dalle nostre parti Agro) che non sia abbandonato a se stesso, con vegetazione senza controllo e fondali e argini che sono affidati non alla tutela della protezione Civile ma alla mediazione benevole,quando c’è,della Madonna di Pompei.Lei giustamente,segnala i casi che riguardano la Città Capofila, ma ha dato un occhiata al torrente Cavaiola, una fogna a cielo aperto, e che passa sotto Nocera.
Ha avuto modo di vedere in che stato versano le opere di “prevenzione” realizzate a Sarno, dopo quello che si verificò? In che stato di abbandono versano le vasche di raccolta…..paludi.Il Sindaco Torquato ha tuanato :” vi sveglerete quando ci scapperà il morto”….perchè a Sarno quelli che ci sono stati non sono ancora bastati?Come vede per evidenziare l’insipienza di chi ci dovrebbe governare non è necessario andare così indietro nel tempo (giusto che lo si faccia….per non dimenticare), ma è la Natura stessa che c’è lo sottolinea e ricorda ogni volta che si verifica una goccia di acqua in più.Sono cose che si sanno e si sanno da anni, ma nessuno fa niente.
Alvei fluviali sbarrati da strade o edifici per civilI abitazionei, oppure ostruiti in punti critici da rifiuti o detriti antropici, condotte idriche rotte e perdenti, scavi incontrollati per fondazioni o sottoservizi, del tutto normali nelle città italiane ,anche in quelle,secondo qualcuno”più belle d’Europa”, uniti alla insufficiente manutenzione, hanno indotto una instabilità superficiale diffusa che, ove i terreni lo consentono, si estende progressivamente in profondità, con pericolosità “Crescent”e.E si dorme ,spendendo e spandendo per “luci di artista”( non ho niente contro questa pregevole iniziativa,ma se si rischia di andare sott’acqua mi preoccuperei prima di questo e poi delle luci (sono il solito disfattista di turno).
Non a caso la Geologia Urbana, il cui studio deve essere propedeutico a qualsiasi Piano Regolatore, afferma tra l’altro che la individuazione dei fenomeni naturali presenti nei territori da urbanizzare è necessaria affinchè si possa valutare lo spazio necessario alla loro evoluzione, per controllarli ed evitare di reprimerli forzatamente,evitando di piangere prevedibilissime tragedie.Non ci vuole la zingara o qualche “personaggietto” per capire come stiamo combinati.
Insomma, il più delle volte i casi di dissesto idrogeologico non sono il frutto della natura cieca e crudele, come si tende a far credere, ma il risultato di una politica impreparata e superficiale,che insegue miti”luminosi” e tralascia e abbandona un territorio rischioso e impegnativo.Lastrada che dovrebbe collegare tramonti co ravello è chiusa da tre anni, e chi se ne frega?
Lei fa benissimo a ricordora il Fusandola, ma a chi? Mi scusi lo sfogo.Ho apprezzato l’articolo,speriamo ,almeno,che lo abbia letto chi dovrebbe leggerlo.Io come Lei possiamo fare veramente poco….tranne che ricordare.