SANZA – Parliamo del Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni. Un’immensa distesa di terra e mare protetta!!! forse troppo protetta. Nato con lo scopo di valorizzare il territorio, non ha fatto altro che imporre la legge del più forte, ha delimitato le aree, le ha vincolate, ha disagiato i popoli portandoli sull’orlo della disperazione. Burocrazia asfissiante, pareri che non arrivano, insomma, chi vive sotto questo cilindro è costretto giorno per giorno a fare i conti con l’inefficienza di una classe amministrativa che non c’è. Non c’è un Presidente, da anni oramai, Troiano infatti si è limitato a quell’ordinaria amministrazione che ancor di più ha piegato le sorti segnate dei territori interni. Manca la rappresentanza della Comunità del Parco, un buco che dal lontano 2010 si è sempre più allargato. Oggi si recrimina, anzi, ancor di più si manifesta l’intolleranza all’Ente, lo fanno i cittadini naturalmente che vorrebbero una dimensione diversa, più vera, più trasparente, meno disagiata e più vivibile. Uno spettro che si propaga nella realtà già difficile di territori sfasciati economicamente, ridimensionati demograficamente che non riescono più a sopravvivere al cospetto di una realtà che impone regole ( spesso assurde ) e che trascina al muro chi dovrebbe beneficiare di questo strumento chiamato Parco. Ecco dunque che assistiamo imperterriti a un cambiamento che non c’è mai stato, si tutela la natura, ( flora e fauna ), si tutela il paesaggio, tralasciando l’aspetto principe, la dignità umana, calpestata e denigrata. Occorre agire, questo il grido di alcuni sindaci che quotidianamente assistono al lento morire del proprio territorio, lo fanno attraverso inutili proteste che passano per gli organi di stampa e muoiono prima di nascere. Lamentele che esprimono in parte il vero problema legato essenzialmente alla non vita delle persone sul territorio del Parco Nazionale. Territori che basano la propria economia sulle piccole “gioie “ della natura, agricoltura familiare che permette di sopravvivere alla mancanza di lavoro stabile, che permette di portare a tavola quel poco di dignità che rimane, oggi costretti a rinunciare anche a questo per colpa delle invasioni di cinghiali che a “truppe” devastano indisturbati terre e territori, coltivazioni e sacrifici. Vanno fermati si urla ma, ancora nulla si è fatto. Le persone ,quelle che subiscono, sono sul piede di guerra, non possono più sopportare l’umiliazione di una politica insensata che distrae dall’attenzione chi il territorio lo vive. Cittadini costretti ad alzarsi la notte per proteggere quel poco che hanno, costretti a una ronda asfissiante contro le invasioni barbariche di mammiferi impazziti . Coltivazioni di granturco, di patate, vigneti e chi più ne ha ne metta, sono la meta appetibile del “branco”. Dopo il loro passaggio la disperazione, il nulla, un anno di lavoro buttato al vento. Questo il quadro di un Parco Nazionale dedito alla salvaguardia delle poltrone a discapito di una politica razionale e vantaggiosa per chi realmente dovrebbe usufruirne i benefici. Ruba ai poveri per dare ai ricchi, elargisce fondi per rafforzare l’interesse alla tutela senza pensare minimamente ai disagi che provoca tutto questo, si fa portavoce di sviluppo ma, aimè, gli unici a beneficiare di questo strumento sono coloro che puntualmente percepiscono uno stipendio alcune volte non meritato. P.S. Nella foto sopra una coltivazione di patate subito dopo il passaggio dei cinghiali.
direttore: Aldo Bianchini