Aldo Bianchini
CAVA de’ TIRRENI – Si è spento all’improvviso il prof. Alfonso Lamberti, giudice di mille e mille inchieste; le più note quelle per il rapimento del giovane Amabile e dell’emblematico “caso Cirillo”; si è spento serenamente. Ho sempre intrattenuto un cordiale e corretto rapporto con il prof. Alfonso Lamberti, magistrato di lungo corso denominato anche “Fonz ‘a manetta”. Lo conobbi direttamente la prima volta il 18 gennaio 1983; ero andato a trovarlo nella “sua Procura” di Sala Consilina insieme ad un amico comune (Francesco de Robbio, arbitro di calcio che il giudice chiamava amabilmente “don Ciccio”); ebbi modo di assistere ad un fatto per me sconvolgente; erano passati sette mesi e mezzo dalla tragedia e Alfonso Lamberti era lì davanti a me letteralmente abbracciato al nostro comune amico e piangeva come un bambino quasi ad apparirmi come un “pulcino bagnato”. Da quel momento l’ho rivisto tantissime volte, soprattutto dopo il suo clamoroso arresto del 18 maggio 1993 e dopo la sua caduta sociale; durante le feste natalizie di alcuni anni fa mi chiamò al telefono; era solo in casa, credeva di morire, gli tenni compagnia parlando e parlando per ore; qualche giorno dopo lo andai a trovare. Ancora oggi il mitico “Fonzo ‘a manetta” avrebbe avuto voglia di parlare, di dire la sua, di svelare quei segreti riposti nel fondo del suo animo; qualche mese fa mi aveva scritto una bellissima lettera con la quale mi annunciava la sua intenzione di voler scrivere a quattro mai la vera storia, la sua storia, quella del tremendo assassinio della figlia Simonetta in quel livido pomeriggio del 29 maggio 1982 che segnò per sempre la sua vita di uomo e distrusse quella professionale. Tutti hanno dato una valenza esagerata ed esasperata a tutte le azioni, anche inconsulte, messe in atto dall’ex magistrato; anche i suoi colleghi non gliene hanno perdonato neppure una. Sicuramente Alfonso Lamberti ha sbagliato in tante cose: non ha avuto fiducia nei colleghi inquirenti, ha condotto indagini che non doveva condurre, ha scritto lettere anonime contro la moglie, ha coinvolto i bambini della scuola dove insegnava la moglie Angela Procaccini, si è servito dell’aiuto di un maresciallo dell’Arma, si è insinuato nel cuore della malavita organizzata, ha abusato del suo ruolo e del suo potere. Ma perché lo ha fatto, perché ha dormito per alcuni giorni in un capanno pieno di topi per incontrare un boss, perché ha cercato di promettere quello che non poteva promettere pur di acquisire una notizia o una prova contro gli autori materiali e contro i mandanti dell’efferato delitto ? E ancora perché la magistratura prima di arrestarlo nel mese di maggio (sempre di maggio !!) del 1993 non si è posto queste domande, perché nessuno ha cercato di stargli più vicino, di farlo assistere farmacologicamente, nel momento in cui lui si allontanava dalle istituzioni e dalla vita reale ? Certo il suo carattere era difficilissimo, quasi impossibile, ai limiti della normale sopportazione per noi che ci riteniamo normali, ma sono tranquillo nello scrivere che sicuramente nessuno, e ripeto nessuno, si è mai curato di badare all’uomo Alfonso Lamberti ed a tutta la carica esplosiva di sentimenti che covava nel più profondo del suo animo e che neppure i tanti libri scritti per ricordare la “sua Simonetta” sono stati sufficienti a fargli sgonfiare tutta la rabbia che aveva dentro. Non è stato sufficiente l’intitolazione dello stadio di Cava il 2 aprile 1983 e la lapide scoperta addirittura dal Presidente Sandro Pertini sul luogo dell’eccidio esattamente due anni dopo, il 29 maggio 1984. La sua ossessione, che lo divorava dall’interno, era quella di scoprire chi aveva dato l’ordine di fare fuoco su di lui e che per una tragica combinazione aveva colpito e ucciso la figlia; è morto senza aver avuto questa possibilità anche se uno degli autori materiali, Antonio Pignataro, qualche mese fa ha beccato una nuova condanna a trent’anni di carcere dopo essersi pentito. Ma “il professore” (così lo chiamavo) non ha mai creduto al pentito, come mi scriveva nella lettera, e si riprometteva di continuare e approfondire le sue ricerche. Simonetta, verosimilmente, ha detto no e l’ha chiamato a se esaudendo uno dei desideri ricorrenti del papà che voleva riabbracciarla in un posto qualsiasi del cielo. Ora si è rasserenato, anche i tratti somatici sul letto di morte sono diversi, “finalmente” è volato dalla sua Simonetta. Non dimenticherò mai quella scena negli uffici della Procura di Sala Consilina e, soprattutto, non scorderò mai quel “pulcino bagnato e terrorizzato” che aveva tanto bisogno di aiuto e comprensione. Certo, in tanti non la penseranno come me, ma al di là degli errori eventualmente commessi, e sempre in ragione di quello che aveva subito, per me Alfonso Lamberti rimarrà sempre un uomo, un vero uomo. Addio professore.
direttore: Aldo Bianchini