Aldo Bianchini
SALERNO – La vicenda, la tristissima vicenda di Simonetta Lamberti troppo presto strappata violentemente alla vita, sembra giunta al suo capolinea; almeno quello giudiziario con trent’anni di condanna inflitti ad uno dei suoi assassini materiali. Lontanissima dalla sua conclusione la vicenda umana che oltre ad aver travolto e ucciso la splendida Simonetta in quel livido pomeriggio del 29 maggio 1982 ha stravolto un matrimonio ritenuto intoccabile, ha distrutto un’intera famiglia, ha segnato per sempre le vite personali di tutti i suoi componenti (padre, madre, fratelli e sorelle), anche della sorella che Simonetta non ha mai conosciuto e che oggi porta anche il suo nome in una sorta di rituale incredibilmente mostruoso che fortunatamente in questi ultimi decenni si è piano piano inabissato nella notte dei ricordi. Perché portare il nome di un fratello o di una sorella morta, per giunta in maniera violenta e per mani assassine, è un fardello pesantissimo che incide sulla vita e per tutta la vita. Ma la cosa più orribile, più tremenda, più inaccettabile in tutto questo è che quasi tutti (familiari, inquirenti, giornalisti, gente comune) incentrano la loro attenzione sulla mamma di Simonetta (la coraggiosa e insondabile sig.ra Angela Procaccini) e sui fratelli; mai una parola, mai una presenza, mai un pensiero, mai una chiamata in causa (almeno in questi ultimi anni e, soprattutto, in quest’ultimo processo) per il padre Alfonso Lamberti, già procuratore della repubblica e docente universitario, che di tutta questa vicenda è stato ed è tuttora il personaggio principale e forse anche la causa indiretta dell’assassinio della figlioletta da lui tanto amata. Soprattutto, dicevo, in questo ultimo processo il prof. Alfonso Lamberti mi è apparso come un soggetto quasi scartato, forse anche mal sopportato dagli inquirenti e dall’intera sua famiglia. Perché ? Io ovviamente una spiegazione ce l’ho, ma è la mia spiegazione che non pretendo debba essere presa come la spiegazione buona per tutti. La prima domanda che mi sono sempre posto è come mai un uomo normalissimo, un ottimo padre di famiglia, un coraggiosissimo magistrato (forse anche al di là delle righe, tanto da meritarsi il nomignolo di “Fonzo ‘a manetta” per via dell’uso probabilmente troppo facile delle manette ai polsi !!), un valente docente universitario che fino al pomeriggio del 29 maggio 1982 non aveva dato alcun segnale di squilibrio mentale, all’improvviso qualche tempo dopo la tragedia della figlia e sua personale ha completamente cambiato e stravolto il suo approccio verso il prossimo, famiglia compresa. Se non ci chiediamo il perché di questo mutamento epocale nella mente e nell’animo di Alfonso Lamberti non potremo mai capire tutto quello che è accaduto dopo il 29 maggio 1982 e daremo una valenza esagerata ed esasperata a tutte le azioni, anche inconsulte, messe in atto dall’ex magistrato. Sicuramente Alfonso Lamberti ha sbagliato in tante cose: non ha avuto fiducia nei colleghi inquirenti, ha condotto indagini che non doveva condurre, ha scritto lettere anonime contro la moglie, ha coinvolto i bambini della scuola dove insegnava la Procaccini, si è servito dell’aiuto di un maresciallo dell’Arma, si è insinuato nel cuore della malavita organizzata. Ma perché lo ha fatto, perché ha dormito in un capanno pieno di topi per incontrare un boss, perché ha cercato di promettere quello che non poteva promettere pur di acquisire una notizia o una prova contro gli autori materiali e contro i mandanti dell’efferato delitto ? E ancora perché la magistratura prima di arrestarlo nel mese di maggio (sempre di maggio !!) del 1993 non si è posta queste domande, perché nessuno ha cercato di stargli più vicino nel momento in cui lui si allontanava dalle istituzioni e dalla vita reale, perché qualcuno non lo ha portato in analisi ? Certo il suo carattere era ed è difficile, quasi impossibile, ai limiti della normale sopportazione per noi che ci riteniamo normali, ma sono tranquillo nello scrivere che sicuramente nessuno, e ripeto nessuno, si è curato di badare all’uomo Alfonso Lamberti ed a tutta la carica esplosiva di sentimenti che covava e cova nel più profondo del suo animo. Lo conobbi direttamente la prima volta il 18 gennaio 1983; ero andato a trovarlo nella “sua Procura” di Sala Consilina insieme ad un amico comune (Francesco de Robbio, arbitro di calcio che il giudice chiamava amabilmente “don Ciccio”); ebbi modo di assistere ad un fatto per me sconvolgente; erano passati sette mesi e mezzo dalla tragedia e Alfonso Lamberti era lì davanti a me letteralmente abbracciato al nostro comune amico e piangeva come un bambino quasi ad apparirmi come un “pulcino bagnato”. Da quel momento l’ho rivisto tantissime volte, soprattutto dopo il suo arresto e dopo la sua caduta sociale; durante le feste natalizie di alcuni anni fa mi chiamò al telefono; era solo in casa, credeva di morire, gli tenni compagnia parlando e parlando. Ancora oggi il mitico “Fonzo ‘a manetta” avrebbe voglia di parlare, di dire la sua, di svelare quei segreti riposti nel fondo del suo animo; non so se riuscirà a farlo e fino a che punto, anche con il mio aiuto. Per me Alfonso Lamberti rimane, comunque, un uomo. Ma c’è anche una donna, la dottoressa Angela Procaccini, per la quale è giusto riservare un prossimo approfondimento. Intanto l’assassino materiale di Simonetta, o almeno uno di essi, ha vomitato tutto quello che aveva da dire e dopo trentatre anni è stato condannato in appello a trent’anni di carcere; pochi per un assassino spietato, senza regole e senza coscienza.
direttore: Aldo Bianchini