Aldo Bianchini
SALERNO – La domanda è intrigante; la risposta, però, abbastanza semplice; almeno per chi lo conosce fin dalla fine degli anni ’60, quelli per intenderci del “grande boom economico” che fece illudere tutti sul fatto che avessimo agganciato facilmente “la luna” dell’elite mondiale. Parlo, naturalmente, di Vincenzo De Luca fin dai tempi, scuro in volto e dentatura digrignante, si aggirava nella umile segreteria provinciale della CGIL (non quella lussuosa di oggi) e da lì prendeva gli spunti necessari e anche i giusti lasciapassare per le battaglie in favore della classe meno agiata, quella contadina che all’epoca rappresentava comunque una bella fetta dell’economia salernitana. Erano i tempi delle grandi migrazioni quotidiane di massa, dal Cilento, dal Vallo di Diano e dall’Alta Valle del Sele le donne scendevano a frotte verso la Piana del Sele per dar vita ad una delle peggiori distorsioni del mondo del lavoro: “il caporalato”. In quelle battaglie, dall’agro nocerino-sarnese alla piana del Sele, dal Cilento al Vallo di Diano, Vincenzo De Luca si è formato ed ha forgiato il suo già forte carattere di “lucano doc” andando a difendere le classi meno abbienti fin nei luoghi da dove partivano e dove in pochi trovavano, a volte, una sistemazione lavorativa. Lo si distingueva subito anche in mezzo a centinaia di persone, il suo look era notissimo: maglione nero dolce vita, giacca con almeno due misure in più della sua, pantaloni normali e “scarpini” neri. Sapeva già parlare, o meglio sapeva arringare la folla, anche se in quel periodo tutto gli veniva facile perché bastava gridare e contestare violentemente contro il padrone di turno. Il gioco del Partito Comunista (PCI) era tutto semplicemente lì, e Vincenzo lo interpretava nel miglior modo possibile; lui era un moskovita convinto non solo nell’abbigliamento (che all’epoca distingueva i russi dai cinesi !!) ma anche nel profondo del suo animo. Storiche le sue incursioni contro la Latte Silla di Sassano con quegli interventi dialettici che sapevano più di ideologia politico-marxista che di pratica risoluzione dei problemi. Quel Vincenzo De Luca, non lo nascondo, mi piaceva molto; anche io veleggiavo su quelle sponde (forse della contestazione fine a se stessa !!) prima di approdare definitivamente su quelle più comode del Partito Socialista. Poi entrò ufficialmente nella segreteria provinciale del PCI, sempre con lo stesso abbigliamento, e cominciò a conquistare i punti nevralgici del potere; partì dal centralino telefonico (allora non c’erano i telefonini, i computer e tutte le altre diavolerie tecnologiche di oggi che consentono di baipassare tutti i paletti organizzativi) impadronendosene con la sentinella fissa del suo fidatissimo amico Mario De Biase (ora cordiale nemico). Nessuno se ne rendeva conto ma la sua irripetibile e concreta organizzazione operativa per la conquista del partito iniziava proprio dal centralino telefonico; non gli sfuggiva niente, sapeva tutto di tutti e Mario riusciva sempre mettere la ciliegina al punto giusto sulla torta del potere. Rispediva al mittente tutti gli inviti per le presenze ufficiali e per le cene di gala che allora erano un fatto quasi ordinario; mi piaceva anche per questo il suo atteggiamento. Nella proposizione dialettica era ancora rude, troppo spigoloso, quasi sfrontato, assai poco addomesticabile; tutte doti che non gli consentivano di fare quel passo in avanti per la conquista definitiva del potere. Ci pensarono, agli inizi degli anni ’90, i suoi amici Pino Cantillo (il filosofo rosso) e Luigi Gravagnuolo (l’uomo della comunicazione) a sgrezzarlo, prima con la pialla e poi con una raffinatissima lima, fino a farne un perfetto strumento di comunicazione di massa; alle lezioni aggiunse il suo personale bagaglio e divenne presto l’eccellente imbonitore che oggi conosciamo. La trasformazione di Vincenzo avveniva davanti ai miei occhi ed io quasi non me ne rendevo conto; di puntata in puntata (conducevo una trasmissione televisiva settimanale con De Luca ospite nella sua qualità di “segretario provinciale del PCI”, accompagnato dai fedeli Pino e Luigi) cambiava anche il look, sparì definitivamente il maglione nero dolce vita e fecero capolino prima le camice con pullover girocollo e poi giacca, camicia e cravatta; tutti elementi che andavano di pari passo con la moda dei tempi fino agli albori di tangentopoli che, grazie al suo pedigree immacolato ed all’amicizia consolidata di qualche magistrato, non toccò minimamente la figura e l’immagine esterna di Vincenzo De Luca che conquistò rapidamente la poltrona di sindaco dopo essere stato il vice di Vincenzo Giordano. E subito si liberò di tutti; fece scappare via Pino Cantillo, mise in naftalina Luigi Gravagnuolo e tenne al suo fianco l’allora ancora fedelissimo Mario De Biase; con Mario, Franco D’Acunto (detto Ciccio), Nello Mastursi (la cassaforte elettorale), Annamaria Barbato (fidatissima dirigente-segretaria), Pellegrino Barbato (la mente grigia) e con altri costruì il suo “apparato di potere” che ancora oggi in gran parte è al suo fianco. Nel suo carnet ci sono, però, decine e decine di nomi, primo fra tutti quello di Giovanni Moscatiello, fedele compagno di cordata ed ora acerrimo avversario e soprannominato “il finanziere del PCI”; ha fatto fuori finanche Antonio Bottiglieri (discendente di una nobile casata e già assessore provinciale al turismo nei primi anni ’90), ed ha infilzato l’uno dietro l’altro tutti quelli che incominciavano a non credere più nel “sistema deluchiano”. Epico lo scontro con Andrea De Simone che era riuscito a soffiargli la poltrona di presidente della Provincia, prima, e dopo quella di deputato nazionale ed europeo; lo mise in condizioni di ritirarsi a vita privata nella sua Solofra. Ha fatto cioè tutto quello che i Conte e i Del Mese non seppero mai fare per rinnovarsi e sopravvivere; è qui la forza innovatrice di De Luca, è un rullo compressore e non ha pietà quando deve disfarsi di qualcuno non più gradito. Ma rimase ruvido e spigoloso ancora per diversi anni, tanto da schivare prima brutalmente e poi elegantemente tutti gli appuntamenti mondani che la vita pubblica e sociale gli apriva giorno dopo giorno. La famiglia innanzitutto, una famiglia preservata da ogni indiscrezione, poi se c’era tempo e spazio qualche piccola presenza pubblica; lui amava ed ama rivolgersi alla gente in maniera diretta e senza interlocutori, e la gente lo ama per questo, per quel suo modo efficacemente diretto di dire le cose che piacciono alla gente, e soltanto quelle. Ha uno schema ben preciso, quasi un copione scritto da tempo immemorabile che lui segue pedissequamente senza alcuna sbavatura. Ha cominciato anche così da Palazzo Santa Lucia, minacciando di disfarsi dell’auto auto blu del precedente governatore e di fare piazza pulita di tutte le cose inutili e superficiali; tutte cazzate che però servono a far presa sull’immaginario collettivo che vuole e pretende queste piccole cose. Da Salerno al tanto sospirato Palazzo Regionale di strada ne ha fatta il buon Vincenzo; soprattutto in relazione al suo rapporto con la società, non quella degli ultimi che lui ha già conquistato, ma quella della “noblesse oblige” salernitana e regionale; fino al duplex della cena di gala in casa della nobildonna e imprenditrice napoletana Patrizia Boldoni al “parco Grifeo” con terrazzo mozzafiato e quasi inaccessibile per i comuni mortali. Ora, rotti tutti gli indugi, superati i vincoli di una famiglia fin troppo stretta, liberati e valorizzati i figli Piero e Roberto (più che mai lanciati nel mondo della politica), Vincenzo De Luca appare in pubblico anche con la sua nuova compagna Maddalena Cantisani, noto architetto della nostra città. Nel frattempo non si era fermato su posizioni di comodo, era stato a Parigi, a Londra, a Los Angeles, a New York ed anche in Lussemburgo, ed aveva preso parecchio dalle scuole di potere di quei Paesi e di quelle Metropoli. All’età matura di 66 anni, in giacca e cravatta alla moda, con al braccio una bella e simpatica compagna, affiancato dai figli Piero e Roberto, ecco il nuovo Vincenzo De Luca, giunto finalmente a Palazzo Santa Lucia ma lontano mille miglia da quello in maglione nero dolce vita che, sinceramente, apprezzavo di più, molto di più.
direttore: Aldo Bianchini