PADULA – L’accertamento dei fatti avvenga nel più breve tempo possibile, per rispetto alla verità e a quanti si sono spesi nel servire persone che scappano dalla fame, dalla guerra e dalle persecuzioni, così come è nella tradizione della Chiesa. “La Diocesi di Teggiano-Policastro, in seguito all’accusa di peculato che vedrebbe coinvolto il direttore regionale della Caritas, don Vincenzo Federico, in merito all’inchiesta su fondi legati all’emergenza profughi, esprime innanzitutto la propria sorpresa, insieme alla piena fiducia nell’operato della Magistratura. L’accoglienza dei migranti ha trovato la nostra Caritas in prima linea in una missione affrontata senza scopo di lucro e con generosa dedizione. La stessa Diocesi ha impegnato risorse umane competenti e motivate da spirito di servizio, che si sono coinvolte con profondo senso di umanità e comprensione . Le iniziative di animazione hanno portato al coinvolgimento di famiglie, comunità ed enti locali e alla collaborazione con le istituzioni preposte all’accoglienza in totale trasparenza di comportamenti e di azioni. In questo modo, si è lavorato per l’inserimento di immigrati nel percorso lavorativo, attenti a promuoverne la tutela dei diritti. Ciò che sta a cuore di tutti, ora, è che tale opera non sia semplicemente vanificata. Per questo, la Diocesi – mentre esprime la propria vicinanza a don Vincenzo Federico – auspica che l’accertamento dei fatti avvenga nel più breve tempo possibile, per rispetto alla verità e a quanti si sono spesi nel servire persone che scappano dalla fame, dalla guerra e dalle persecuzioni, così come è nella tradizione della Chiesa”. Un chiaro segnale di apertura quello espresso dalla Diocesi colpita in-direttamente dalla vicenda dello scandalo “ticket money”, esploso all’improvviso nel segno del chiaro modus operandi proprio della giustizia italiana. Tra i primi quotidiani a darne notizia, spicca il Corriere della Sera che titola:“Migranti sfruttati per fare soldi, derubati dei ticket giornalieri, addirittura pagati per far perdere le proprie tracce. Nell’associazione per delinquere delineata dai pubblici ministeri di Napoli per truffare lo Stato prendendosi i milioni di euro stanziati per gestire l’emergenza legata ai profughi, l’accusa assegna un ruolo anche ai vertici della Caritas della Campania. L’inchiesta che ha portato agli arresti i responsabili della Onlus «Un’ala di riserva», Alfonso De Martino e la sua compagna Rosa Carnevale e all’accusa di peculato per il direttore regionale della Caritas don Vincenzo Federico, si concentra sul ruolo di chi doveva occuparsi dell’accoglienza. E va avanti per accertare le responsabilità dei funzionari della Protezione civile e della Regione che dovevano controllare il rispetto delle procedure e la regolarità delle autorizzazioni.” Una doccia fredda per gli ambienti della Caritas che corrono ai ripari dalle infamanti accuse che sostengono: “È verosimile che la Caritas di Teggiano faceva pervenire a De Martino i pocket money destinati ai migranti da loro ospitati, ricevendo in cambio una percentuale degli enormi guadagni che ne ricavava il De Martino (pari al 20% del valore di ogni singolo buono oltre alle ricariche telefoniche acquistate)» Secondo quanto riportato ancora dal Corriere della Sera : “Sono 56 i milioni che la Regione Campania ha gestito per l’emergenza legata alla primavera araba, quando in Italia giunsero decine di migliaia di migranti. Don Vincenzo è accusato di essersi appropriato di 44 mila «pocket money» per circa 110 mila euro, ma le verifiche effettuate dagli investigatori hanno consentito di ricostruire passaggi di soldi dai conti correnti di De Martino a depositi riconducibili al sacerdote e su questo sono adesso in corso ulteriori controlli. Lo stesso responsabile della Onlus ha ammesso in un interrogatorio che si è svolto prima dell’arresto: «In riferimento invece alla consegna dei ticket degli ospiti delle strutture gestite dalla Caritas di Teggiano, i blocchetti venivano consegnati mensilmente dal responsabile Fiore Marotta, il quale, a sua volta, li raccoglieva presso le varie strutture della Caritas di Teggiano. Anche su questi buoni trattenevo una percentuale del 5 per cento come avveniva con le altre strutture non convenzionate con “L’ala di riserva”». Alla Caritas fanno capo altre due Onlus che secondo i magistrati avrebbero avuto un ruolo opaco nella gestione del denaro pubblico in un sistema illecito che andrebbe avanti almeno dal 2011. per avere un’idea del giro di affari basti pensare che soltanto la struttura gestita da don Vincenzo assiste ogni giorno circa 600 stranieri con un introito che — tenendo conto della presenza dei minori — può superare i 4 mila euro quotidiani”. Insomma a Don Vincenzo e ai suoi collaboratori, la contestazione è chiara riguarda 109mila euro, il corrispettivo di 44mila pocket money, buoni che le associazioni (che ricevono 40 euro al giorno per ciascun migrante) dovrebbero consegnare ai richiedenti asilo per affrontare piccole spese: 2,5 euro al giorno. Secondo i pubblici ministeri sarebbero finiti nelle tasche del sacerdote. Pronta la replica del prete indagato: «Io mi sarei appropriato di 109 mila euro destinati ai migranti? Io non mi sono appropriato di niente! Addirittura adesso stiamo chiedendo prestiti da ogni parte per continuare a dare da mangiare a questa gente, visto che l’ultimo assegno erogato dalla Prefettura di Salerno per finanziare i pocket money risale al 31 gennaio scorso. E comunque sia, tutti i soldi che continuiamo a distribuire vengono dati sempre alla presenza di un pubblico funzionario…». Ancora , a sua difesa alcune dichiarazioni al Corriere della Sera in cui lo stesso si sfoga premettendo che il primo a denunciare i giri loschi sui “ticket money” era stato lui: “Il sacerdote indagato giura di non aver mai avuto «alcun tipo di relazione» con quelli della onlus «Un’ala di riserva», arrestati due giorni fa. Di non conoscerli nemmeno. E anzi contrattacca. Racconta di aver scritto «il 14 aprile 2014 una lettera al prefetto Mario Morcone (l’attuale capo del Dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno, ndr ) per denunciare il mercato nero dei ticket destinati agli immigrati», prima dell’avvento del nuovo sistema del pocket money (il sussidio diretto in denaro). Un mercato nero, in Campania, gestito da italiani, coi blocchetti dei ticket per la spesa dei migranti (da 75 euro) ricomprati anche a metà prezzo e poi riconvertiti in denaro sonante, per il loro valore effettivo, in negozi e supermercati. Guadagni colossali ai danni dello Stato e sulla pelle degli stranieri, come ha svelato l’inchiesta della Procura di Napoli. Dal Viminale, confermano l’esistenza della lettera inviata da don Vincenzo e sottolineano anche la piena collaborazione data alle indagini in corso dalla Caritas di Salerno. Il direttore della Caritas italiana, don Francesco Soddu, aggiunge che don Vincenzo ieri ha ricevuto «tantissime telefonate di solidarietà», segno che nei suoi confronti «la stima è rimasta intatta e anzi è cresciuta»”. Queste le fasi salienti di una vicenda che ha dell’incredibile se vista sotto il profilo umanitario, aiuti che diventano speculazione, il Dio denaro che ha la meglio sul Dio onnipotente. «Se anche il mondo dell’impegno sociale fa registrare questi episodi è chiaro che la diffusione del malaffare è tale che nessuno da solo ce la può fare». Sono le parole di Raffaele Cantone presidente dell’autorità anticorruzione che ha aperto un’inchiesta per capirci di più. Seguiremo gli sviluppi…….
direttore: Aldo Bianchini