Al termine del convegno internazionale su “ITALIA, UNIONE EUROPEA E COMUNITÀ DEI PAESI ARABI DEL GOLFO”, svoltosi nell’Aula delle Lauree dell’Università degli Studi di Salerno e su cui abbiamo già riferito ieri, il più giovane preside di facoltà nel mondo, il salernitano Pasquale Borea, ci ha rilasciato la seguente intervista esclusiva:
Professore Borea, il Sole 24 ore l’ha definita “precario in Italia ora è il Preside di Facoltà piu’giovane al mondo” ci racconta brevemente la sua storia?
In primo luogo preciserei la definizione di “precario” che in Italia sembra avere un significato particolare. Prima del mio attuale impegno alla Royal University for Women in Bahrain facevo l’avvocato ed ho avuto vari contratti di docenza in Università italiane. Conseguito il dottorato di ricerca, dopo alcune esperienze di brevi docenze in Colombia ed Argentina, ho vinto una borsa di post dottorato presso il Max Planck Institute di Hidelberg per svolgere attività di ricerca e presso quell’istituto ho ricevuto la notizia del bando della Royal University for Women per la posizione di Professore Associato in Diritto Internazionale. Ho superato una prima valutazione dei titoli ed in seguito una prova concorsuale della quale sono risultato vincitore. In Bahrain non esiste il tempo indeterminato, ho avuto un contratto biennale soggetto a valutazione della performance accademica da parte di un nucleo di valutazione del Ministero che tiene in considerazione la valutazione degli studenti, del pro-rettore, la produzione scientifica e la qualità della docenza. Dopo la prima valutazione superata con un punteggio molto alto si trattava di rinnovare il Preside di Facoltà e mi è stato proposto dal Rettore di presentare la mia candidatura, poi ratificata all’unanimità dagli organi accademici. A ciò è seguito un rinnovo del contratto per altri tre anni, sempre sottoposto alla valutazione del merito. In ragione di ciò forse sono più precario ora che in passato, ma non credo che la parola “precario” abbia necessariamente un’accezione negativa, c’è un vantaggio nei contratti a termine, è più facile basare la valutazione sul merito: se raggiungi gli obiettivi e lavori sodo vai avanti, altrimenti si va a casa.
In Bahrain che modello universitario ha trovato?
Altamente competitivo. Le Università sono per lo più private, prendono fondi pubblici solo se raggiungono risultati eccezionali. C’è un’attenzione spasmodica alla “quality assurance”, ogni facoltà deve definire i suoi “obiettivi di formazione” e lo stesso vale per ognuno dei corsi offerti. C’è molto controllo sull’offerta formativa, sulla valutazione degli studenti, tutto è in un certo senso “tracciabile” e monitorato. Anche noi docenti siamo costantemente valutati, abbiamo un impegno “full time” e fondi per la ricerca. Il Ministero richiede una pianificazione annuale e premia gli atenei virtuosi, soprattutto per innovazione nei progetti scientifici. C’è una grande apertura alla cooperazione universitaria internazionale, attualmente la nostra facoltà ha appena concluso un accordo con l’Università di Cambridge, molto utile per la mobilità degli studenti e per programmi di ricerca congiunti.
Come vede dal Bahrain l’Università italiana?
Credo che il sistema universitario italiano abbia bisogno di una profonda riforma. Su molti aspetti. Molti atenei soffrono un calo vertiginoso di iscritti e non c’è un rinnovamento dell’offerta formativa. Penso ai tanti atenei europei che hanno visitato la mia Facoltà in Bahrain proponendo offerta di corsi di laurea, master, dottorati, interamente in lingua inglese. Sono attrezzati, preparati, hanno strutture in grado di intercettare studenti stranieri e diversificano l’offerta formativa. In Italia tutto questo succede solo in rarissimi casi. Le università italiane devono capire che non possono pensare di sostenersi con i soli iscritti italiani, il mercato è molto più ampio. Ovviamente per fare ciò vi è la necessità di avere un corpo docente preparato per queste sfide, che sia in grado di offrire corsi in lingua inglese. L’Italia purtroppo è ancora il paese in cui una proposta del genere finisce in una battaglia di ricorsi che punta unicamente a conservare consolidate rendite di posizione. Un altro aspetto è l’apertura ai fondi privati e ancora, la regolamentazione dei professori a tempo pieno che esercitano professioni nel settore privato. Ma lai sa che in Bahrain noi timbriamo il cartellino (tutti, dal Rettore in giù) e in caso di incarichi professionali privati va ottenuto il nulla osta dell’ateneo, che trattiene una percentuale sul compenso? Poi ci sarebbero una serie di altri interventi necessari a controllare la qualità dei programmi offerti e dei relativi sistemi di finanziamento, insomma una riforma profonda, radicale, con un piano ben preciso, quello di rendere l’Università italiana competitiva a livello globale. Serve coraggio, e pazienza, ci sono troppe posizioni consolidate che faranno una resistenza durissima.
In questi mesi il rapporto fra il mondo occidentale ed il mondo arabo è minacciato dal fenomeno ISIS. Come si vive in Bahrain questo contrasto?
Il “Daesh” per dirlo in termini arabi o ISIS, è una minaccia prima di tutto per il mondo arabo. Il Bahrain e gli altri paesi del Golfo sono apertamente contrari ad ogni forma di islamismo radicale. Il fenomeno ISIS è pericoloso poiché a differenza di altri (Al Qaeda) non ha solo finalità terroristiche. L’ISIS punta al califfato, cioè alla costituzione di uno strato vero e proprio, che batta moneta, riscuota tasse, garantisca sicurezza ed imponga l’applicazione della Shariaa nella sua interpretazione più radicale. Tutto questo è un rischio in primo luogo per i paesi arabi, e certamente per il mondo occidentale, Europa in testa.
Tornerebbe in Italia?
Certamente, l’Italia è il mio paese e mi farebbe piacere mettere al servizio del mio paese le competenze che ho finora acquisito. Non credo tuttavia ci siano al momento le condizioni per un mio rientro. Non parlo ovviamente di condizioni economiche ma di ciò che ho accennato in precedenza. Tornerei se potessi contribuire ad un’università diversa, aperta al mondo globale, che non abbia nulla da invidiare ad atenei inglesi o statunitensi. Per raggiungere tutto questo, ripeto, c’è necessità di una riforma del sistema. Ho già detto prima, ci vuole coraggio, ma volendo certe misure possono essere varate in una notte. Del resto abbiamo il governo più giovane della storia, mi chiedo se non ora quando?