EGITTO: quando la democrazia è militare

 

Filippo Ispirato

 ROMA – Sabato 7 Marzo alle 20,00 presso il Caffè Letterario Verdi in Via Roma a Salerno verrà presentato il libro di Giuseppe Acconcia dal titolo “Egitto Democrazia Militare”; un reportage accurato e fitto, un’opera attraverso cui l’autore compie un viaggio “immersivo” nell’Egitto contemporaneo, mettendo in luce senza pudori e retoriche le contraddizioni di un paese in bilico tra tradizione e modernizzazione. Interverranno in qualità di moderatori il Prof. Giovanni La Guardia, dell’Università Orientaledi Napoli, il Prof. Adalgiso Amendola, dell’Università di Salerno e, in diretta dal Cairo via Skype, l’artista e graffitaro Ammar Abo Bakr, da sempre attento osservatore delle evoluzioni e dei cambiamenti della società egiziana.

Nel libro si presenta il complesso mosaico politico economico e sociale attuale dell’Egitto, uno dei paesi più grandi ed importanti del mondo arabo, all’indomani degli scontri di Piazza Tahrir e della primavera araba.

Ho incontrato Giuseppe Acconcia, bocconiano originario di Salerno, giornalista, attualmente corrispondente dal Cairo per il Manifesto, ricercatore specializzato in Medio Oriente per le Università di Londra e Pavia,  e collaboratore per  i giornali l’Indipendent, Al Ahram Weekly e Oper Democracy, al quale ho posto una serie di domande di approfondimento per capire la situazione attuale dell’Egitto, una paese importante nel bacino mediterraneo e termometro del fragile equilibrio  del mondo arabo odierno, alle prese con la minaccia costante dell’Isis e dei movimenti estremisti. 

1. L’Egitto è il più grande paese del mondo arabo nel bacino mediterraneo dall’importanza strategica. Quali sono, a suo parere, gli effetti della primavera araba dopo le proteste di Piazza Tahrir. E quali le differenze rispetto alla Turchia e la Tunisia, che hanno vissuto anch’esse le loro primavere?

In Egitto si sono verificate le rivolte più strutturate e significative dal gennaio 2011 ad oggi. Il movimento egiziano era attivo prima del 25 gennaio 2011 e nonostante la repressione subita dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013, i giovani continuano a scendere in piazza. Le ultime violenze si sono registrate proprio nel quarto anniversario dall’inizio delle rivolte e hanno causato la morte della giovane attivista socialista Shaimaa El-Sabbagh, uccisa dalla polizia. La Tunisia è l’unico dei cinque paesi (Egitto, Siria, Libia, Yemen, Tunisia), attraversati dalle rivolte, dove il movimento ha ottenuto un buon esito, con l’approvazione di una Costituzione all’avanguardia in Nord Africa e con elezioni presidenziali che hanno sancito la sconfitta del partito islamista moderato El-Nahda. La Turchia è stata attraversata da alcune manifestazioni in piazza Gezi ad Istanbul che però non sono paragonabili ai movimenti a cui hanno assistito gli altri paesi che abbiamo fin qui citato.

2. Si può parlare di vero processo di democratizzazione del paese come lo intendiamo in occidente?

No, in Egitto non è in corso un processo di democratizzazione. Dopo il golpe militare, le aspirazioni dei movimenti sono state azzerate con leggi anti-terrorismo e anti-proteste. Ora sono migliaia gli attivisti in prigione, tra cui il giovane socialista Alaa Abdel Fattah, centinaia sono le condanne a morte dei sostenitori dei Fratelli musulmani e la censura della stampa è più pervasiva che mai.

3. Permangono nel paese squilibri sociali ed economici nella società egiziana o si sono in qualche modo attenuati?

Le disuguaglianze sociali sono la prima causa del malcontento degli egiziani. Il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, la disoccupazione giovanile non accenna a diminuire per questo molti pensano che l’unica soluzione sia migrare. Non esiste un sistema di welfare e sanità pubblica che permetta agli egiziani una vita dignitosa. Questo è il frutto delle dissennate liberalizzazioni volute dall’ex presidente Hosni Mubarak negli anni Novanta che hanno accresciuto enormemente le disuguaglianze tra ricchi e poveri.

4. Il quadro religioso è stato in qualche modo destabilizzato, visto che nel paese vive una forte minoranza cristiano copta che supera il 10% della popolazione totale?

I cristiani egiziani sono ben integrati nella vita economica e politica del paese. Gli episodi di settarismo tra cristiani e musulmani che hanno segnato gli ultimi anni sono stati usati dai militari per innescare la necessità del ritorno della stabilità. Questo ha permesso loro di limitare le riforme, di reprimere il movimento islamista moderato dei Fratelli musulmani e di riprendere tra le mani le redini del paese.

5. Cosa prevede per il futuro del paese soprattutto vista la minaccia incombente dell’Isis che ha già delle solide roccaforti e califfati in Iraq e Libia?

Al-Sisi ha esteso la sua sfera di influenza alla Libia, attaccando la Cirenaica e sponsorizzato il golpista libico Khalifa Haftar. Evidentemente questo ritorno in grande stile dei militari non sta facendo altro che alimentare il terrorismo nella regione, lo stesso è avvenuto in Siria e Iraq. Lo Stato islamico (Isis) sta però creando un allarme mediatico che va oltre le sue capacità belliche. In particolare gruppi radicali da Parigi a Derna dichiarano la loro affiliazione al movimento ma molto spesso si tratta di jihadisti che hanno obiettivi locali più che globali.

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