Maddalena Mascolo
SALERNO – Anche questa mattina, così come lo è stato per i primi ventidue anni, il suono del silenzio avrà un effetto tutto particolare sulle vedove dei due carabinieri (Fortunato Arena e Claudio Pezzuto) trucidati la sera del 12 febbraio del 1992 a Faiano di Pontecagnano da due malviventi di secondo ordine, seppure temibili e pericolosissimi: Carmine D’Alessio e Carmine De Feo. Come sempre gli studenti della locale scuola media seguiranno con le Autorità militari, civili e religiose la Santa Messa che sarà celebrata alle ore 9.30 nella Chuiesa di San Benedetto di Faiano. Poi tutti in corteo fino al vicino posto dove furono massa<crati i due carabinieri per le cerimonie civili e la deposizione di una corona d’alloro. Ufficialità rituali e da non poter paragonare a quanto il 14 febbraio del 1992 rappresentarono le solennità dei funerali di stato, presenti le massime autorità dello Stato, presente tra gli altri il presidente del Senato Giovanni Spadolini. Quel giorno ci furono anche furiose contestazioni e più volte riecheggiò nell’aria il grido di “buffoni” contro i rappresentanti dello Stato. Di quel momento mi è rimasta impressa una frase pronunciata dall’allora arcivescovo Mons. Guerino Grimaldi: <<“ormai non prevale piu’ la forza del diritto ma il diritto della forza”>>. Gli assassini furono catturati il 14 luglio del 1992, dopo ben 152 giorni di latitanza. Furono catturati a Calvanico (un paesino dell’hinterland salernitano) grazie al coraggio del giovane capitano dei Carabinieri Domenico Martucci e dei suoi tre aiutanti, Armentano, Tiberio e Capparrone. Fu proprio quest’ultimo, Gennaro Capparrone, pistola in pugno, ad entrare per primo nella stanza dove si erano barricati Carmine il mancino e Carmine il tossico. La resa immediata e senza condizioni era stata pianificata dall’ottimo sostituto procuratore Alfredo Greco che si mosse nel pieno rispetto della legge, nonostante tutto, riuscendo a frenare la rabbia che muoveva i quattro carabinieri al momento dell’assalto. Di questa vicenda, di tutta la vicenda il direttore di questo giornale ha scritto tantissimo in passato; e qui mi piace riportare a stralcio un brano tratto dal suo libro intitolato “A dieci anni da tangentopoli” che parte proprio dalla pianificazione e dalla descrizione della “strage di Faiano” ponendola come pietra miliare per l’avvio di quella che la storia ha già classificato come la “tangentopoli salernitana”: <<La ridda di opinioni, di convincimenti più o meno attendibili, di inchieste giudiziarie più o meno agguerrite, lascia il posto ad un’unica irreparabile realtà: poco dopo le ore 19.00 del 12 febbraio 1992, i due carabinieri Arena e Pezzuto fermano l’autovettura fuoristrada sulla quale viaggiano ufficialmente “due persone” alle quali vengono ritualmente richiesti in esibizione i documenti anagrafici. Tutto sembra tranquillo ed il controllo, puramente formale prosegue. Claudio Pezzuto scende dall’auto, si avvicina ignaro al fuoristrada e chiede i documenti. Carmine D’Alessio scende dall’auto e si allontana. Ad un tratto lo sguardo di Pezzuto incrocia quello di De Feo, gli sguardi si incrociano. Forse viene riconosciuto chi non può e non deve essere identificato? Carmine De Feo non ci pensa neppure un attimo. Imbraccia una mitraglietta israeliana. Fulminea la sparatoria, senza pietà, orribile la strage. Un uomo viene avvistato mentre concitatamente parla da un posto telefonico fisso, a poche decine di metri dal luogo della strage: è la conferma dell’orribile eccidio o l’avvertimento per una strage non pianificata nelle strategie dei vertici malavitosi? Impossibile avere risposte perché il presunto possibile basista telefonico viene letteralmente ingoiato dal buio della sera e dal nulla. Qualcuno, in seguito, dirà che quell’uomo era Carmine D’Alessio, circostanza questa mai realmente provata. E’ provato, invece, il fatto che Carmine D’Alessio, uditi gli spari, corre verso l’autovettura dei carabinieri e fa fuoco su Fortunato Arena che risponde al fuoco mentre tenta di scendere dall’auto, soccombe inesorabilmente. La pistola di D’Alessio appartiene al carabiniere Elia Sansone che poche ore prima è stato rapinato nella Piana del Sele Il conducente e proprietario del fuoristrada, tale Antonio Massimo Cavallaro smentisce sempre decisamente ogni illazione sull’esistenza dell’eventuale basista sostenendo la tesi del sequestro a suo carico, viene fermato e subito rilasciato. I due malviventi De Feo e D’Alessio si chiuderanno, poi, nell’assoluto mutismo ed accetteranno l’ergastolo senza battere ciglio. Il magistrato inquirente, Alfredo Greco, metodicamente e con fermezza negherà la pur minima praticabilità di un’ipotesi del genere e si rimetterà sempre alle carte processuali che rigettano qualsiasi altra presenza a bordo del fuoristrada, oltre quella dei tre prima citati. Dopo la sparatoria i due assassini fuggono con il fuoristrada, abbandonano l’ostaggio su una mulattiera e raggiungono il deposito della ditta Orcellet di Fuorni. Qui prendono in ostaggio il capo-cantiere (che lasceranno dopo qualche minuto) e si fanno consegnare dal dipendente Angelo Riviello le chiavi della sua Audi/80. Salgono a bordo e, sgommando, svaniscono nel buio e nel nulla per 152 giorni.>>. Ci fu davvero quel “summit itinerante” (a bordo di quel suv) con la presenza di camorristi e di politici ? I due carabinieri furono barbaramente trucidati perchè avevano visto ciò che non dovevano vedere ? Sono passati già 23 anni ma la verità vera forse è rimasta sepolta per sempre nelle fredde bare dei due eroi moderni Fortunato Arena e Claudio Pezzuto.