ROMA – Il Governo Giapponese ha annunciato, durante la riunione del consiglio dei ministri del 30 Dicembre tenutasi a Tokyo, un piano per ridurre la tassazione sulle imprese a partire dalla prossima primavera, onde incentivare la ripresa e dare sostegno al sistema economico nipponico, alle prese con un periodo di stagnazione ed inserito in un’area, quella asiatica, a forte concorrenza per il basso costo del lavoro negli altri stati, in particolare quelli dell’area Asean (una vasta area di paesi del sud est asiatico che al loro interno prevedono l’abbassamento o l’abbattimento delle barriere doganali).
La mossa rappresenta l’ultimo tentativo del primo ministro Shinzo Abe di dare una spinta decisiva al suo programma di rilancio della crescita. Attualmente la tassazione complessiva sulle aziende nipponiche è pari al 34,62% degli utili societari, percentuale più bassa di quella degli Usa, o di altre nazioni europee, ma superiore a quella della maggior parte delle altre principali economie mondiali e del sud est asiatico.
Nel dettaglio la coalizione del Governo giapponese si è impegnata a tagliare al 32,11% la tassazione entro marzo 2016 e al 31,33%, o ancora meno, nell’anno successivo.
Una mossa che nell’immediato potrebbe apportare meno liquidità nelle casse dello stato, ma di forte lungimiranza, in quanto consentirebbe al sistema imprenditoriale giapponese di liberare delle risorse da poter destinare a spesa ed investimenti per innovazione, ricerca e sviluppo o per assumere nuova forza lavoro, in particolare giovani laureati specializzati.
Con maggiore innovatività e/o maggiore forza lavoro aumenterebbe, secondo questa visione, la competitività del sistema nipponico, in quanto il Giappone, come tutte le economie progredite può competere solo attraverso una maggiore qualità dei suoi prodotti e non sul prezzo, visto che in un sistema economico sempre più globalizzato i competitors con costi di produzione e del lavoro sempre più bassi sono molti, sia in Asia che in America Latina o Africa.
Una azione coraggiosa da prendere ad esempio anche da parte del nostro governo, preoccupato sempre più solo di rendere flessibile il mercato del lavoro e consentire alle aziende di licenziare con più facilità.
Il problema in questo modo non si risolve, ma si consente in tal modo al sistema imprenditoriale italiano esclusivamente di liberarsi della manodopera italiana, ad alto costo, e spostarsi all’estero dove, sebbene a scapito della qualità, si avrebbero costi del lavoro e di produzione inferiori.
Un pericoloso circolo vizioso che non porta crescita, innovazione e competitività ma aumenterebbe solo l’indigenza e la precarietà per l’economia del nostro paesi e a poco serviranno i vari bonus distribuiti a pioggia, se non ad aumentare la base imponibile da tassare.
Di certo un imprenditore con una tassazione alle stelle ed un apparato burocratico farraginoso ed autoreferenziale difficilmente è incentivato ad investire in Italia.
Chi ci governa sarà capace di capire tutto ciò, o si rimarrà legati alle decisioni degli stakeholders e delle varie lobbies di potere?
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