SALERNO – Tutto era stato preparato con la massima cura, il rischio era notevolissimo; nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del 1991 la grande decisione. Un uomo, Giuseppe Procida di sessant’anni, mentre si trova in ospedale, dove aveva accompagnato una parente, avverte un forte malore: una fitta lancinante al petto. Rapido passaggio per il pronto soccorso e poi immediato il trasferimento nell’unità di terapia intensiva coronarica dove i medici lo sottopongono ad una TAC; l’esame non dà un risultato chiaro. I medici interpellano il prof. Giuseppe Di Benedetto che sottopone l’infermo ad un’angiografia: aneurisma fissurato all’aorta toracica, questo il crudele verdetto che non lascia spazio a tentennamenti. E’ necessario intervenire subito, senza tentennamenti. Il reparto di cardiochirurgia ancora non c’è, bisogna quindi far leva sull’attrezzato reparto di rianimazione anche perché le condizioni del paziente si fanno sempre più gravi. Per Di Benedetto non ci sono dubbi, trasferire il paziente a Napoli equivarrebbe a sentenziarne la morte. “Salvarlo” è la parola d’ordine che passa di bocca in bocca, di mano in mano. Viene allestita la sala operatoria della divisione di chirurgia vascolare e via al primo intervento al cuore della storia dell’azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona. Ecco come descrive magistralmente il momento la giornalista Vera Serino su “Il giornale di Napoli” di giovedì 19 dicembre 1991: “San Leonardo, prima operazione al cuore. Nella notte intervento del prof. Di benedetto su un anziano cardiopatico. Le mani sul cuore per salvare una vita, si è trattato del primo intervento di aneurisma fissurato all’aorta toracica reso possibile dalla presenza al San Leonardo del professore Giuseppe Di Benedetto. L’operazione è stata effettuata da un tandem la notte scorsa dal primario di cardiochirurgia e da Pasquale Valitutti primario di chirurgia vascolare…….Sul voto di Alessandrina Barra, casalinga, moglie di Giuseppe Procida non si fa fatica a cogliere i segni di una notte passata nei corridoi dell’ospedale di San Leonardo. Per tutta la notte lei e le due figlie, Maria e Giuseppina, hanno cercato di capire quanto era successo …”. Nasce così, con assoluta semplicità ma con un rischio pazzesco, la lunga avventura della cardiochirurgia salernitana affidata, ora come allora, nelle mani sicure del prof. Giuseppe Di Benedetto. Quell’intervento, quasi pioneristico, sembra lontano anni luce rispetto all’organizzazione ed alla strutturazione tecnico-professionale attuale di quella che è una delle divisioni d’eccellenza della nostra sanità pubblica invidiata da tutto il Paese. Quella decisione immediata di Di Benedetto, che lasciò perplessi non pochi osservatori, segnò anche la fine dei drammatici viaggi della speranza e fece partire la pratica al contrario, cioè da quel momento i viaggi i pazienti li compiono verso Salerno e non verso mete oscure e lontane. E di questa eccellenza sembra che nessuno se ne accorga, o quasi; ci si sveglia soltanto quando con grande reticenza ed umiltà da quella divisione di cardiochirurgia vengono fuori le poche notizie sui tantissimi miracoli che quotidianamente vengono compiuti dal primario e da tutti i suoi professionalissimi collaboratori, nessuno escluso. Ma questa è Salerno, una città che facilmente dimentica e lascia soli i suoi figli migliori, così come in più occasioni è stato lasciato solo l’eccellente cardiochirurgo. Ma chi è Giuseppe Procida, o meglio chi era ? Diciamo subito che Giuseppe Procida è deceduto il 9 luglio 1997 (circa sei anni dopo l’intervento chirurgico sul suo cuore); era nato il 18 luglio 1933 ed era stato operato da Di Benedetto all’età di 58 anni. Coniugato e padre di due figlie Giuseppe Procida, subito dopo l’intervento, era ritornato a vivere nella sua Castiglione del Genovesi riaccolto dall’affetto dei suoi cari. Era ritornato ad una vita normalissima -ricordano i parenti-, tanto normale da ritornare prestissimo alle sue passioni con lunghe passeggiate ed ai lavori di casa dedicandosi con particolare attenzione anche alla preparazione della legna (una delle sue passioni !!) ed al suo trasporto quotidiano in casa salendo e scendendo diverse rampe di scale interne. Aveva ripreso a fumare ed anche a bere, ma il tutto moderatamente e nell’ambito di un vivere normalissimo per una persona che, come lui, non aveva mai avvertito particolari malori come quella sera del 18 dicembre 1991 quando per caso si trovava proprio nel pronto soccorso dell’ospedale per aver accompagnato una sua parente ammalata. Spesso evocava quei momenti drammatici ed elogiava sempre il grande decisionismo del prof. Di Benedetto che “gli aveva regalato diversi anni di vita”, così amava dire con parenti ed amici. E quegli anni furono sei, tutto filò liscio fino a quando la mattina del 9 luglio 1997 avvertì un forte malore, sempre al cuore, che lo stroncò definitivamente strappandolo all’affetto dei suoi cari. Le mani sul cuore che Giuseppe Di Benedetto gli aveva messo nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 1991 gli avevano comunque regalato sei anni di ritrovata felicità.
direttore: Aldo Bianchini