L’etica nella sofferenza

 

Da Giovanna Rezzoagli Ganci

GENOVA – In questi giorni furoreggiano le richieste di soldi a favore della ricerca scientifica. Cosa buona e giusta, se ricerca ben fatta. Quella che prevede test sugli animali non lo è. In questi giorni in cui, come era logico, la Signorina Simonsen si fa di nuovo fotografare con mascherine e mascheroni, sbandierando a destra e a manca che sarebbe morta se non fosse per i pro test, andiamo a dire quello che serve. Io soffro da anni di varie patologie che la medicina definisce “atipiche”, ovvero un modo forbito per dire che non si sa cosa siano e come si curino. Senza dubbio hanno una qualche disfunzione genetica alla base che mi rende particolarmente esposta a fortissimi dolori. Negli ultimi tempi, inutile nasconderselo, va peggio, parecchio peggio. Una delle mie patologie prende il nome di Sindrome Fibromialgica, quella di cui ha ragliato la Simonsen in un video senza azzeccarne mezza ma questa è altra storia. Con questa rognetta si convive un giorno male, uno bene, due peggio e via. Conosco la sinfonia ma, visto, che negli ultimi mesi la malattia ha alzato i toni, ho ceduto e sono andata dallo specialista del caso (io sono fortemente allergica ai medici e per carpire la mia fiducia ce ne vuole…). Risultato: da quattro farmaci passo a cinque ed ecco la sorpresa: il quinto nasce per curare una specifica malattia che non ho (e che, per la cronaca non possono avere gli animali…) ma si è evidenziato che allevia i sintomi della mia (che gli animali non possono avere…). Stessa solfa dell’odiato antiepilettico che cura la nevralgia del trigemino e che mi tocca assumere quando il dolore è insostenibile. Siccome la forma della mia malattia è “atipica” faccio da cavia io e mi sta bene. Mi sta benissimo così perché la mia vita non vale più di un’altra. Oggi avevo male, e tanto, ad un piede. Bene, il dolore può essere una risorsa e quando riuscivo a non zoppicare caricavo ancora di più il peso sulla gamba. Sempre meglio dei dieci centimetri nell’altra gamba in cui mi potrei conficcare un coltello e me ne renderei conto solo dal sangue che ne uscirebbe. No, Caterina Simonsen, la tua vita vale quanto la mia e la mia non vale più  di qualsiasi altra. Cosa riserverà il futuro, a me quanto alla biondina tanto carina quanto crudele, chi lo sa? A me interessa vivere sapendo che per me non morirà nessuno. La vita che ho è una, il dolore che ormai è il mio fedele compagno di vita mi basta per capire che è giusto così, che ognuno ha la sua strada e la deve percorrere esattamente come è. No Signorina Simonsen, vendi il tuo libro, vai in tv, contraddiciti sino all’ultimo. Io fino a che potrò camminerò calcando sulla gamba che fa male, ma non dimenticherò mai che, così come lo desidero io, ogni creatura desidera una vita senza dolore. E ciascuna creatura, come Brittany, deve avere la chiave per uscire dalla prigione della vita, quando lo vuole. Nulla insegna cosa sia la dignità più del dolore.

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