SALERNO – Avevo conosciuto circa trent’anni fa Claudio Roscia nella vecchia sede di Tv Oggi. All’epoca io organizzavo e conducevo un settimanale televisivo sportivo denominato “Sport & Sport” poi ereditato dall’amico e collega Zaccaria Tartarone. Lui trattava la Salernitana Calcio che, allora come oggi, è come avere a che fare direttamente con il Papa rispetto ai giornalisti che parlando degli sport minori hanno a che fare con semplici sacerdoti. Quindi le nostre strade non si sono mai incrociate e, ovviamente, neppure scontrate; io lasciai subito lo sport per dedicarmi alla cronaca giudiziaria ed alle trasmissioni televisive di intrattenimento domenicale quali “Competition” ed anche “Omnibus” all’interno delle quali ospitavo comunque il “mitico Claudio” per le sue attesissime radiografie della partita della squadra del cuore. Ci siamo sempre rispettati anche dopo la mia andata via da Tv Oggi (dove ero stato anche direttore) per approdare a Quarta Rete trasferitasi da Cava a Capezzano. Claudio Roscia per me rappresentava, e rappresenta, un pezzo di storia del calcio in genere e non soltanto salernitano; ho sempre seguito in religioso silenzio le sue spiegazioni tecniche e i suoi approfondimenti calcistici. Ha rappresentato un’altra scuola e certamente non apparteneva a quei milioni e milioni di italiani che pensano di essere tanti commissari tecnici della nazionale. E’ sempre presente nella mia mente, e lo rimarrà fino alla fine dei miei giorni, un fatto semplice ed al tempo stesso bello accaduto tra me e Claudio tantissimi anni fa. Era l’epoca in cui fu inaugurato alla grande lo stadio Arechi con una partita della nazionale italiana di calcio; andai allo stadio insieme a Claudio e prendemmo posto in tribuna azzurra (la tribuna stampa era stracolma di tanti assatanati del calcio e rinunciammo in partenza anche a chiedere l’accredito, insomma pagammo il biglietto). Gli dissi subito che, non essendo un intenditore di calcio, le partite preferivo vederle in tv, almeno lì ci capivo qualcosa. Mi guardò con il suo solito sorriso tra il serio e il faceto (mai beffardo !!) e mi rassicurò dicendomi che avrebbe cercato di spiegarmi, minuto dopo minuto, lo svolgersi della partita anche dal punto di vista tecnico. Era il 16 maggio 1991 e sul prato verde dell’Arechi si schierarono le nazionali di Italia e Ungheria per la quarta giornata di qualificazione ai campionati europei del 1992. Passarono soltanto quattro minuti e Roberto Donadoni mise a segno il primo gol per l’Italia, poi al 16° portò l’Italia in vantaggio per due a zero; al 56° minuto ci pensò Vialli a chiudere la partita; mentre Bognar al 66° realizzò il gol della bandiera per l’Ungheria. Ebbene Claudio mi seguì passo passo, vidi la partita meglio di come l’avrei vista in tv; mi spiegò le tattiche e le loro evoluzioni, anticipò addirittura i cambi e le mutazioni delle strategie offensive e difensive dell’una e dell’altra squadra. Sono sincero se affermo che da quel momento non ho mai più visto una partita come avevo avuto modo di vederla sotto la dettatura, quasi elementare e maccheronica, di Claudio che ringrazio ancora per la lezione. Oggi ricorre il trigesimo della sua morte, avvenuta a Milano giovedì 9 ottobre scorso; proprio a Milano dove aveva troneggiato dall’alto della sua possente stazza fisica sia nel mitico Gallia per il calcio mercato continuato poi nelle nuove location a cinque stelle, tra cui l’Atahotel Executive, da dove puntualmente ogni anno gli sportivi granata attendevano le sue notizie dell’ultimo minuto. Andava a Milano, questo nessuno l’ha scritto, in forza di sacrifici personali (anche economici !!) non facilmente descrivibili; ma ogni anno riusciva magicamente ad esserci. In tanti hanno scritto che Claudio Roscia è stato un uomo di sport, con la Salernitana nel cuore senza mai dimenticare la sua Fiamma con la quale aveva disputato indimenticabili campionati di basket. Io aggiungo che Claudio è stato anche un uomo, un uomo vero, uno di quelli che vanno ricordati e rispettati sempre e comunque. Addio Claudio.
direttore: Aldo Bianchini
Grazie Aldo. So bene di quanto eravate legati. Oggi, ad un mese dalla sua scomparsa, mi piace ricordarlo insieme ai suoi tanti amici di sport che lassù lo hanno preceduto. La vita prevede anche la morte. Ma non la fine.