SALERNO – Dopo l’intervista televisiva, forse un po’ troppo avanzata dal punto di vista mediatico, l’Arcivescovo di Salerno, S.E. Mons. Luigi Moretti, è rapidamente ritornato all’antico ed alle vecchie tradizioni della Chiesa Cattolica: la scrittura. Ed ha scritto una bellissima lettera aperta ai fedeli della diocesi di Salerno-Campagna-Acerno per ringraziare tutti per la grande dimostrazione di solidarietà offertagli con incontri personali, mail, biglietti recapitati a mano in Curia, attestazioni pubbliche e comunicati ufficiali. Al centro sempre le spocchiose polemiche emerse durante e dopo la processione in onore di San Matteo la sera del 21 settembre scorso. E’ stato un fiume in piena di solidarietà, scrive il Presule, e afferma di essere rimasto particolarmente colpito dai tantissimi giovani presenti in Cattedrale la sera del 30 settembre per la veglia di preghiera. E’, però, l’ultimo capoverso della lettera (breve e concisa) dell’Arcivescovo che mi ha colpito di più: “”Il mio pensiero intende raggiungere anche coloro che, con atteggiamenti inopportuni e irriverenti, hanno svilito lo spirito della processione e infranto la gioia che deriva dal ritrovarsi tutti insieme ad onorare San Matteo. Sento forte la mia paternità anche nei loro confronti. Prego e li affido al Signore perché, pur nella differenza di opinioni e delle responsabilità, possiamo ritrovarci uniti per testimoniare devozione al Patrono della nostra comunità”. Senza correre il rischio di contraddirmi affermo, dopo aver letto la durissima reprimenda del Vescovo, che sono questi i Vescovi che mi piacciono perché non cadono nella trappola di far politica apertamente pur facendo politica in maniera molto sottile, velata ed intelligente senza mai entrare a gamba tesa nel dibattito politico-pubblico che è altra cosa e che compete ad altri; chiunque parla alla gente fa politica ed i Vescovi la fanno, o la dovrebbero fare, quotidianamente. In definitiva anche il voler cambiare le regole non scritte di un’antica tradizione, che stava mano a mano tracimando dal religioso nel fanatismo e nell’adorazione di una persona, è fare politica intelligente e l’Arcivescovo di Salerno l’ha fatta con tutta la sua forza intellettuale e morale di cui è sicuro e sereno portatore. Pregare per gli irriverenti, pregare anche per i delinquenti così come pregare per i politici (che con le loro continue esternazioni apodittiche causano danni su danni) è insito nel messaggio che la Chiesa deve promanare verso il mondo esterno; e Mons. Moretti lo ha fatto con grande disponibilità ed umiltà non rinunciando a toni duri ma assolutamente composti e rientranti nello spirito dell’assoluta religiosità. Voler allineare anche la Chiesa salernitana alle direttive della Curia romana non è un peccato, è soltanto voler presentare con grande spirito di umiltà una Chiesa nuova, quella voluta dall’attuale Santo Padre “Papa Francesco”. Una Chiesa lontanissima dal passato, anche recente, in cui un parroco poteva e doveva ritenere di omaggiare il giovane rampollo di una famiglia importante nel giorno del suo onomastico. Incredibile ma vero perché lo racconta il diretto interessato Antonio Bottiglieri (nel suo lungo approfondimento pubblicato da Il Mattino il 21 settembre 2014) non rendendosi conto della gravità del racconto nel contesto del quale parla dell’onomastico della Città (la festa di San Matteo) ma anche del suo onomastico: “”Poi c’era il <<mio>> onomastico: quel giorno mia madre preparava un pranzo secondo i miei gusti al quale partecipavano fratelli e zii. Ricevevo tante telefonate e anche visite di amici e parenti che venivano a casa mia a farmi gli auguri. Ricordo l’onore di ricevere anche la visita del mio parroco, l’indimenticabile monsignore De Girolamo. Insomma non era solo la festa di Sant’Antonio ma anche la mia festa””. Con tutto il rispetto della “famiglia Bottiglieri”, che è stata ed è una delle più illustri della nostra Città, mi chiedo se il sacerdote De Girolamo sia mai andato, in quello stesso giorno, ad omaggiare un altro giovane Antonio della Salerno meno abbiente tanto per fare il pari con la gratificante visita in casa Bottiglieri. Era questo il vulnus della Chiesa ed è proprio questo che la nuova Chiesa cerca, a fatica, di smantellare con il concreto aiuto dei Vescovi. A casa mia ho visto il sacerdote soltanto in occasione della morte dei miei genitori e qualche volta per l’appuntamento canonico in occasione delle feste pasquali; per il resto, per tutto il resto la Chiesa è stata sempre lontanissima. E’ tutta qui, e non è poco, la rivoluzione epocale di Papa Francesco e dei suoi Vescovi: portare la Chiesa tra la gente avendo cura di evitare false e devianti mitizzazioni. E’ questa la Chiesa che mi piace, al di là dei discorsi pieni di paroloni che ho sentito in questi giorni dai tanti soloni che si sono sbizzarriti nel commentare le decisioni di Mons. Moretti che, mai e poi mai, andrà a fare gli auguri al figlio del sindaco, del prefetto o del presidente della provincia ma sicuramente andrà (com’è andato) a far visita ai carcerati, ai meno abbienti ed a dialogare con i giovani per aprire le porte della Chiesa a tutti e non soltanto alle famiglie importanti e potenti. Dal Concilio Vaticano II è venuto fuori un messaggio importantissimo: la Chiesa che cambia è sempre vincente. Questo probabilmente Antonio Bottiglieri lo ha dimenticato quando a quattro mani ha severamente criticato i cambiamenti introdotti da mons. Moretti. Alla prossima.