Di Fausto Morrone
SALERNO – Non posso esimermi dall’esprimere tutto il mio sdegno e la mia riprovazione per quanto è avvenuto nel corso della processione di S.Matteo: provo tuttora una vergogna e un imbarazzo indicibili.
Premetto che, pur essendo cattolico (di quelli che un tempo venivano sbeffeggiati come cattocomunisti: una categoria che serviva per indicare una sottocultura senza alcuna rilevanza, posta tra cattolici e atei, questi sì di rango), da circa vent’anni non partecipo più ai festeggiamenti del Santo Patrono, in quanto penso che essi abbiano perso ogni attrazione religiosa e siano diventati unicamente la passerella per alcuni politici per registrarsi all’opinione pubblica come cattolici e per misurare il proprio consenso attraverso un applausometro addomesticato, rozzo e provinciale, dimenticando ed oscurando il Santo Patrono. Tanto che l’evento, anche giornalistico, è stato per anni ove si collocavano le personalità più influenti e quanti applausi ricevevano; e, talvolta, lo smarrimento delle motivazioni religiose ha fatto sì che una sedia non collocata in posizione utile alle telecamere e ai Santi finisse per l’assumere il significato di un’offesa imperdonabile o di una inadeguata considerazione del cacicco di turno, con la conseguenza grottesca della tempestiva messa in moto di una vera e propria azione delle relative diplomazie al fine di scongiurare contrasti ancora più netti. Queste scenette da avanspettacolo, esibite da una parte e tollerate supinamente dalla Chiesa salernitana, non mi hanno attratto alla processione neppure negli anni in cui ho ricoperto cariche pubbliche, neppure sollecitato dalla corsa e dall’affanno di colleghi e di altre personalità a mostrarsi in vetrina in quella occasione annuale alla quale non avrebbero mai rinunciato e non sempre per fede conclamata. Io non so se le nuove regole per la processione chieste da Mons. Moretti siano dovute a direttive vaticane o a valutazioni della locale Curia. Rimane il fatto che qualcuno con maggiore senno, rigore e rispetto cattolico doveva pur provvedere a porre fine alla deriva rozza e areligiosa in cui i festeggiamenti del Santo Patrono si erano incanalati da circa quattro lustri. Chi ha commentato gli episodi gravi accaduti nel corso della processione e le forzature dei portatori dei Santi, fatti inchinare e ruotare davanti ad alcuni edifici pubblici contro il volere della Chiesa salernitana, ha tenuto a precisare, con notevole e sospetta prevenzione, che questi fatti non potevano essere paragonati alle vicende che hanno riguardato recentemente i festeggiamenti nei vicoli di Ballarò a Palermo e di Oppido Mamertina a Reggio Calabria, che hanno visto le statue inchinarsi davanti alle case dei boss locali. Ma mi chiedo: l’appropriazione delle statue dei Santi, poggiate a terra in segno di protesta, fatte ruotare e inchinare arbitrariamente, il Presule prima sbeffeggiato e offeso e poi costretto ad essere difeso e scortato dalle forze dell’ordine non sono elementi sufficienti per connotare un atteggiamento di prepotenza preoccupante? In un giorno di festa, Palazzo di città interamente illuminato, con il portone spalancato e appositamente transennato come per l’accesso delle statue, non è un invito abbastanza esplicito a trasgredire gli ordini impartiti dall’Arcivescovo e a far svolgere comunque l’inchino vietato, come poi effettivamente è avvenuto? E i fuochi, ufficialmente aboliti dall’Amministrazione comunale, e fatti esplodere – non si sa a cura di chi (altro segreto inedito e suggestivo) – dopo l’inchino, non possono essere interpretati come un ringraziamento a chi ha fatto in modo da umiliare l’Arcivescovo Moretti e a riconoscere “il vero potere”? Tutto ciò per dire che sicuramente non c’erano boss da riverire e da blandire, ma altrettanto certamente sono stati compiuti degli atti volti indirettamente ad accontentare un certo potere, a indicarlo al rispetto comune: per me si chiama comunque prepotenza e la sua esibizione ha sempre il sapore di una intimidazione, anche quando non ne è protagonista la criminalità organizzata. In una città socialmente piegata come Salerno la minaccia può anche essere più dolce, più sottile, addirittura mai direttamente fatta, ma altrettanto incisiva, tanto dall’aver portato ai bordi della strada lungo cui scorreva la processione tanti brutti ceffi e guappi di cartone, mai visti prima all’evento, che lanciavano offese colorite e volgari all’indirizzo del Presule, stretti vicino a molti salernitani che, visibilmente imbarazzati, annuivano, perché convinti che “il popolo” voleva così. Attenzione, se leggiamo le cronache non troviamo nulla di simile accaduto neppure nell’entroterra più dimenticato del nostro paese, anche se possiamo trovare conforto nel fatto che non c’entrano niente i tradizionali boss. Salerno è una città borghese, conservatrice, quasi altera, che non s’indigna per la disoccupazione più alta che altrove, per il trasporto pubblico che è scomparso, per le fognature che tracimano ad ogni pioggia e allagano negozi e cantine, per le tante opere incompiute, per i cumuli di spazzatura lasciati in ogni dove per mesi, per i topi che accompagnano ogni loro passeggiata, per i mostri di cemento contrabbandati per arte pura, per l’essere chiamati cafoni dai veri cafoni, per un’etica pubblica che considera i provvedimenti giudiziari per il politico e i suoi famigliari alla stregua di medaglie al valore: com’è possibile che lo stesso “popolo” abbia riservato tanto rancore e un trattamento così indecoroso e ingeneroso al suo Arcivescovo, costringendo, peraltro, i suoi Santi ad abbassare la testa dove la Chiesa non voleva? Questo comportamento andrebbe indagato a fondo da un’opinione pubblica molto più attenta, poiché, altrimenti, potremmo registrare altre sorprese in nome di un “popolo” che conosciamo, magari, solo superficialmente e che può reagire in modo imprevisto verso qualsiasi potere, costituito e non, colpevole e innocente, buono o cattivo che sia.