SALERNO – L’altra sera, durante la processione del Santo Patrono, mi trovavo con altri colleghi proprio dinanzi l’entrata principale del Comune di Salerno quando all’improvviso il grosso cancello è stato spalancato da due agenti della Polizia Municipale, chi ha dato l’ordine ?; mancava ancora molto all’arrivo delle statue e già alcuni ben individuabili cittadini inneggiavano con cori e richiami il loro Sindaco ed oltraggiavano con cori e insulti di una bassezza inaudita il nostro Arcivescovo. Mi sono ritrovato stordito come all’interno di un catino calcistico dove la squadra del cuore era in procinto di chiudere la partita della vita con un punteggio secco e roboante in danno dell’avversario, insomma come se nella partita non ci fosse più partita, tanto era il distacco ormai inflitto all’avversario di turno. Solo che in questo caso in campo a menarsele di santa ragione c’erano il sindaco Vincenzo De Luca e l’arcivescovo mons. Luigi Moretti che ha osato toccare una delle due cose più care che hanno i salernitani: la Salernitana e San Matteo. Molto triste davvero se una comunità deve vivere basando la propria esistenza su due cose così eteree e lontane dalla vita pratica di tutti i giorni. La giornata di San Matteo era iniziata male, anzi malissimo, all’interno del Duomo con un’altra delle proverbiali sceriffate dell’uomo venuto da Ruvo del Monte e, quindi, come me “non salernitano verace” ma semplicemente salernitano d’adozione, seppure da sessant’anni residente, sempre come me, in questa Città. Una buffonata quella nel Duomo; non sarebbe stato più semplice rimanere in piedi e in silenzio dare un esempio di civiltà e di compostezza a tutti e principalmente a quel “don Antonio Quaranta”, pavido e incerto, a cui è stato affidato da tempo il cerimoniale in barba agli incarichi ufficiali. Senza bisogno che intervenisse finanche il Prefetto !! Avreste mai immaginato Voi, amici lettori, che un Prefetto potesse intervenire per una sedia ? basterebbe questo per demolire per sempre una istituzione del governo così importante. Insomma, per dirla tutta, un Prefetto che interviene per una sedia (perché del sindaco !!) e va via nel momento cruciale e più rischioso della serata, quando cioè i portatori hanno ignobilmente messo a terra San Matteo. Io, scusatemi la franchezza, un Prefetto così non l’avevo ancora mai visto. Questo, però, è il segno pericolosissimo del “condizionamento psicologico” che De Luca ha avuto l’intelligenza di orchestrare tanti anni fa e che ha invaso tutta la città e le sue stesse istituzioni; figurarsi quei poveri cristi (e non so fino a che punto !!) di portatori che non hanno atteso neppure un secondo per farsi belli agli occhi del loro padre-padrone che, sicuramente, non avrebbe mai chiesto, e non ha chiesto !!, loro di ribellarsi all’arcivescovo; ma il condizionamento psicologico quando è pesante e pressante fa tutto questo ed anche di più. Tanto lui, il divo Vincenzo, dalla grande capacità di esserci anche senza esserci, era certamente lì, dietro le quinte, a godersi lo spettacolo che andava in scena metro dopo metro lungo le strade della città europea. Ed è così che una sparuta ciurma di incauti (e non so fino a che punto !!, ripeto) portatori ha distrutto, anche non volendo, uno dei due simboli della città “San Matteo”. L’altro simbolo, più o meno la stessa ciurma l’aveva già distrutto qualche anno fa con scientifica meticolosità; la Salernitana. Adesso, lo si voglia o no, qualche decisione importante l’Arcivescovo dovrà pure prenderla in una Curia precipitata da tempo nella solitudine e senza un nocchiere in grado di guidarla, appunto da dietro le quinte. A mio avviso Mons. Luigi Moretti nella sua lucida ricostruzione operativa di una diocesi, ormai prossima al dissesto e prodiga di inaudite e inspiegabili concessioni, in quattro anni di magistero ha fallito proprio nella scelta dell’uomo giusto per il posto giusto e cioè nell’affiancare a se l’unico stratega che, in queste circostanze, poteva aiutarlo a scegliere per non sbagliare: don Comincio Lanzara. Si è circondato, invece, di presbiteri quasi tutti facenti capo a “Il Gregge” in aperta antitesi con la battaglia che Gerardo Pierro aveva condotto, perdendo, contro di esso. So bene che questo nome potrà infastidire il nostro Arcivescovo ma ribadisco che “don Comincio” era ed è l’unico in grado di risolvere qualsiasi problema di rapporti tra la Chiesa e il mondo esterno e soprattutto del centro storico, per non citare il rapporto tra la Chiesa e la difficile politica; è a lui che devono essere restituiti i pieni poteri di un mandato (quello del cerimoniere) che da tempo ha soltanto sulla carta non avendo più neppure la possibilità di entrare in Curia a suo piacimento. Non a caso è stato il “gran consigliere” di ben quattro arcivescovi, dei quali gli ultimi due profondamente radicati nella realtà salernitana. Ma ormai la frittata è fatta ed a nulla vale piangere sul latte versato; dal 22 settembre 2014 deve forzatamente cominciare un’altra storia, almeno per quanto riguarda la festa di San Matteo, altrimenti sarà buio pesto. Bisognerà mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità, a cominciare dal sindaco per finire all’ultimo portatore; questi ultimi dovranno essere scelti certosinamente dalla Curia senza possibilità di infiltrazioni e senza concessioni al compromesso, mentre il sindaco dovrà dare corpo a quel famoso “mi adeguo” che l’altro giorno è rimasto penosamente sulla carta perché, almeno nel Duomo, non si è affatto adeguato. Ci sono, ovviamente, tante cose da rivedere in questa Città e non soltanto nella Curia; anche la stampa dovrà essere richiamata alle proprie responsabilità. Ho letto cose veramente vergognose in questi giorni come l’intervento fiume di Antonio Bottiglieri su Il Mattino in edicola la mattina di San Matteo, un intervento che nei prossimi giorni mi riprometto di commentare senza veli; innanzitutto perché oggi c’è poco spazio e poi per non cadere nella trappola di “scrivere un libro” anziché un articolo (come amabilmente mi aveva suggerito il mio amico Paolo Russo, capo redattore salernitano de Il Mattino, un paio di mesi fa in occasione della polemica tra il prof. Aniello Salzano e il magistrato Michelangelo Russo per negarmi la pubblicazione di un mio approfondimento !!), mi rendo conto di non chiamarmi Bottiglieri ma più semplicemente Bianchini, ma proprio questo non può esimermi dal far notare come l’intervento da prima pagina di Bottiglieri mi è apparso alla stregua di un “doppio libro” intriso anche di fatti e ricordi personali. Ma così va la vita e bisogna saperla prendere. Tra i tanti l’unico commento che mi è molto piaciuto è stato quello dell’amico e collega Tommaso D’Angelo che in apertura del suo intervento ha scritto: “”Una delle poche certezze della nostra Città era San Matteo, la festa, la gioia delle statue in giro per la città, la fatica dei portatori, la corsa sulle scale del Duomo. Laddove il sacro si unisce al profano in nome del Santo Patrono. Da ieri sera non è più così, la salernitanità subisce l’ennesimo sfregio per una guerra tra Peppone e don Camillo, dove il sindaco e il Vescovo ne sono la brutta copia””. Io aggiungerei che un altro peccato è costituito dal fatto che la cosiddetta salernitanità viene sfregiata da due non salernitani veraci, e questo tanto per fare contenti tutti quelli che si nascondono dietro questo velo senza neppure capirne la genesi e i suoi contorni. Fortunatamente l’altra sera è stato evitato l’epilogo che, comunque, mi sarei aspettato da un momento all’altro. In continuazione alzavo lo sguardo verso la balconata centrale di Palazzo di Città come se da un momento all’altro si dovesse affacciare il “divo Vincenzo” per pronunciare le famose parole di Marco Antonio subito dopo l’assassinio di Cesare: <<Ascoltatemi amici, salernitani, concittadini … Io vengo a seppellire Moretti non a lodarlo. Il male che l’uomo fa vive oltre di lui. Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa … e sia così di Moretti>>. Per fortuna, ripeto, così non è stato e rimane ancora viva la speranza che da domani si possa cambiare e che l’Arcivescovo esca da dietro la sua scrivania e vada in mezzo alla gente, così come il suo ed il nostro Papa Francesco. Alla prossima.
direttore: Aldo Bianchini
Spero che l’Arcivescovo faccia ammenda dei suoi errori nella faccenda processione. Cocciuto come un mulo, ha cercato il braccio di ferro con i portatori delle statue, e come sempre nelle gare di forza, ha vinto il più forte.
La fede non si impone con la spada. Un pastore deve cercare di convincere le anime (non le pecore) della bontà delle proprie ragioni, ammesso che ce ne siano. E proprio la mancanza di valide ragioni che imponessero il cambiamento drastico di tutto ciò che afferisce la processione di San Matteo ha indisposto le “paranze” e, di riflesso, tutto il popolo salernitano.
Non basta difendersi adducendo come alibi l’attuazione delle nuove direttive della Cei Campania. Le regole fatte per tutti devono applicarsi “cum grano salis”. Le nuove direttive emanate per evitare pratiche vergognose, quali “inchini” alle case dei boss della malavita, non possono applicarsi ciecamente senza fare le opportune distinzioni. Le regole vanno interpretate. Può mai paragonarsi l’affidamento della città al suo Santo, per pezzo dell’ingresso simbolico nella casa comunale, di tutti i cittadini (non dell’attuale Sindaco) all’ignominioso “inchino” alla casa di un padrino di mafia? Suvvia! Dov’è l’offesa per il Santo, dove l’offesa per Dio e la religione!
Ben altre sono le offese alla religione, in primis quelle che si annidano proprio nel corpo della Chiesa (a maggior ragione quella salernitana)! Prima di emendare il prossimo, la Chiesa (in primis quella salernitana) faccia pulizia al proprio interno.
La fede non si impone con la spada, ma si cerca il dialogo. E prima del dialogo si deve conoscere. In tre anni di vescovado l’arcivescovo ha capito qualcosa della città di Salerno? Sembra vivere nella sua torre d’avorio della Curia, emana decreti e pensa di essere obbedito dal popolo bue. Faccia come Papa Francesco: esca dal “Palazzo”, vada in mezzo alla gente comune e mostri il coraggio della fede, sempre che abbia coraggio. Ma si sa, il coraggio chi non ce l’ha, non se lo può dare.
E poi, distinguendo le posizioni di paranze e cittadinanza, perché la stampa offende l’intelligenza del popolo salernitano? Dovrebbe, invece, lodarne la civiltà nella protesta. I fischi non erano rivolti all’Arcivescovo come autorità religiosa, bensì all’uomo Luigi Moretti che, in tal caso, ha commesso molti errori (ebbene sì, anche un Arcivescovo può sbagliare. Il dogma dell’infallibilità è prerogativa del solo Pontefice!!!). Dove è stata la violenza fisica? Fischi e pernacchie sono il rischio che ci si assume quando si esce dal “Palazzo”, si scende dalla cattedra per andare in strada (chi mai ha visto l’Arcivescovo nelle strade salernitane in questi tre anni?). Quando si scende in piazza come si accettano gli applausi e gli osanna, così si deve essere pronti a ricevere dissenso. Vogliamo togliere al popolo anche la civilissima arma del fischio e del pernacchio?
Bene farebbe l’Arcivescovo a prendere esempio da Papa Francesco. Chi impone regole ingiuste con la forza, non può pretendere rispetto e sudditanza. Sono finiti i secoli bui in cui la Chiesa incuteva terrore ed esercitava con arroganza il suo dominio temporale e spirituale. I ministri di Dio, prima di essere ministri, sono uomini come gli altri. Scendano sulla terra e portino la fede nella case. Altrimenti le processioni così come le messe, senza il popolo che in fondo essi disprezzano, le celebreranno loro e le sedie (vuote).
Illustre Direttore,
siamo alle solite…..come sincretare senza eccedere il sacro e il profano? Come conciliare gli eccessi della ritualità popolare con la teutonica liturgia teologica? Sembra facile ma è molto….molto difficile.
La lunga storia di oggi mi ricorda una vicenda.
Un certo Vescovo di Pagani ( si scherza con molta riverenza) tale……..Sat’Alfonso Maria, Dottore della Chiesa, stella polare dei confessori, riferimento indiscusso per la “Morale” Cristiana, aveva intuito dall’alto della sua profonda e approfondita cultura che la Madonna delle galline festeggiata con canti,tammorre,e balli non proprio ortodossi,non aveva niente o poco a che vedere con la Madonna del Carmine, così come era festeggiata, in quel borgo non a caso chiamato “Pagani” ( lo so che etimologicamente potrebbe derivare semplicemente da pagus-villaggio, ma effettivamente intrica di più il rimando ai “Pagani” a Demetra e Persefone Cerere a Kore e Lacco-Dionisio ) e quindi cercò di evitare o limitare certe pulsioni di Fede popolare…………il risultato………..una sonora sconfitta da parte del popolo……..portone del santuario divelto…..processione, tammorre e canti come prima e più di prima.
La storia non racconta che il coltissimo Santo gridò allo scandalo o lanciò anatemi alla folla dionisiaca che perseverava in assoluta buona fede…..come continua a fare….ancora oggi nell’errore……….niente di tutto questo .
Senza punto ferire si fece trovare sulle scale dell’attuale Suo Santuario ( così raccontano le cronache dell’epoca), con due colombe inn cesto ( cosa che viene fatta ancora oggi dal Superiore in carica al Comunità al passaggio della processione) che offrì alla Madonna…… si riconciliò con il suo popolo di “quante nascette ninno” e incanalò verso la giusta Fede quella turba di “originali ma buoni lazzaroni”.
Non so se Sua Eccellenza l’Arcivescovo di Salerno conosca questa storiella………per come sembra si sia mosso tra le “Paranze Salernitane” sembra di no.
Sant’Alfonso aveva intuito …..profondamente compreso che la sua “gente” con il linguaggio che conosceva ( l’unico che conosceva) amava veramente e profondamente la Madonna….Maria “la mamma celeste” e non andava punito e/o condannato per questo suo amore viscerale…… “carnale” (in senso partenopeo)………ma accolto…….compreso……guidato da un Pastore Misericordioso che non storce solo il naso difronte all’ignoranza ma ne coglie l’essenza certa di Fede senza se e senza ma.
Sarà vero il fatto del quadro trovato dal razzolare delle galline……..sarà vero il rimando a demetra e persefone…..non importa, quello che importa , l’unica cosa che importa e che importò anche S.Alfonso era la meravigliosa Fede genuina della gente con tutto il rispettto per la più rigida e austera Teologia di cui era maestro indiscusso.