Filippo Ispirato
A poco più di due settimane dalle elezioni presidenziali sono stati scrutinati tutti i 480.000 seggi del vasto arcipelago che compone l’Indonesia.
La Commissione elettorale indonesiana (il KPU) ha confermato l’elezione di Joko Widodo alla guida dell’Indonesia, ex colonia olandese ed attualmente terza democrazia al mondo per dimensioni, con i suoi oltre 250 milioni di abitanti, e primo paese musulmano al mondo per popolazione.
Joko Widodo, ex governatore di Giacarta, capitale dell’Indonesia, insieme al suo vicepresidente Jusuf Kalla, ha vinto le elezioni con ben 71 milioni di preferenze sui 135 milioni di aventi diritto, con una percentuale di preferenze pari a circa il 53,2%.
Il neo presidente, noto a tutti come Jokowi, guiderà il paese per cinque anni a partire dal 20 Ottobre prossimo. Sarà il primo presidente a non appartenere né alla nomenclatura indonesiana né all’esercito; sarà, come ama definirsi, un uomo del popolo, un elemento da non sottovalutare per un paese sotto dittatura fino al 1999 e al contempo una delle principali economie emergenti sotto l’occhio vigile dei mercati finanziari.
Grandi sfide lo attendono per il futuro: l’economia del paese, la più grande dell’intero sud est asiatico sta rallentando, la crescita annuale è scesa al 5,2% nel primo trimestre del 2014 (un dato contenuto se si considera che è un paese emergente e non un’economia matura come quella dei paesi europei), la burocrazia e la corruzione sono molto forti, c’è bisogno di riforme da anni per alleggerire le procedure amministrative, le sovvenzioni al mercato energetico pesano in maniera sensibile sul bilancio nazionale e l’utilizzo eccessivo di risorse naturali per sostenere la crescita esponenziale del paese stanno causando gravi problemi all’ecosistema locale e regionale.
Al momento, sebbene siano aperte diverse problematiche su più fronti, l’elezione del presidente Joko viene ben vista sia dalla comunità internazionale che da quella economico finanziaria; il neo presidente Joko Widodo, da sempre si è distinto per la sua apertura all’economia mondiale, ai sistemi democratici e al dialogo con le minoranze dei cinesi e dei cristiani presenti nel paese, che è a forte maggioranza musulmana.
Un presidente moderato, in un periodo di forti tensioni all’interno del mondo arabo e musulmano, non potrà che portare benefici all’area del sud est asiatico e all’economia di Giacarta che, seppur in affanno negli ultimi mesi, potrebbe proseguire il suo trend di crescita economica e di democratizzazione avviato nell’ultimo decennio.