SALERNO – La nave rifornitrice Etna della Marina Militare, che trasporta 1044 migranti, tra cui un centinaio di minorenni, ha fatto il suo ingresso nel porto di Salerno intorno alle 9.00. Attraccata al molo Trapezio, si è proceduto ad effettuare la dovuta profilassi sanitaria e l’identificazione da parte delle forze di polizia, per poi iniziare lo smistamento nei centri di accoglienza della regione e in alcune località limitrofe. Questa la notizia riportata dalla stampa.
L’arrivo di così tante persone nella nostra città interroga, e non poco, l’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno. La comunità diocesana non è all’anno zero, da tempo, infatti, si muove per la sensibilizzazione e la creazione di luoghi adatti ad accogliere chi vive il dramma dell’emigrazione forzata e giunge in Italia. L’arcivescovo Luigi Moretti, attraverso la Caritas diocesana e l’ufficio Migrantes è costantemente informato su quanto, nelle possibilità della chiesa locale, è possibile fare per assicurare, insieme a tutte le associazioni di volontariato, la prima e urgente assistenza, e far fronte così all’impellenza dettata dalle circostanze contingenti.
Ma la considerazione, operativa e concreta, non si può limitare solo all’emergenza e non deve essere solo da questa sollecitata. Si impone, una riflessione ad ampio spettro, dalla quale possa nascere la spinta, non più procrastinabile, ad un cambiamento reale dello stesso approccio alla questione. Del resto lo stravolgimento planetario che l’immigrazione comporta, della povertà del sud del mondo che bussa con sempre maggiore forza al nord, è sotto gli occhi di tutti.
Il punto di partenza non può che essere quello ricordato da Papa Francesco nella sua visita a Lampedusa, “Lasciamo piangere il nostro cuore. Preghiamo in silenzio”. È la preghiera, per i cattolici, e il silenzio possibile a tutti, che libera il campo dalle nuove tentazioni di razzismo, di atteggiamento di esclusione invece che di accoglienza e inclusione e dalla paura generata dalla crisi economica che attanaglia pure l’occidente. Questa induce, erroneamente, a ritenere che per sconfiggere la crisi sia più utile custodire gelosamente quel poco che si ha, piuttosto che condividerlo. In realtà, e il popolo italiano lo ha provato sulla propria pelle, è l’esatto contrario.
La Dottrina sociale della chiesa, patrimonio trasversale di tutti, indica che occorre un’evoluzione del concetto di migrante e pone così una sfida alla storia contemporanea. Il rispetto della dignità della persona, che ha diritto ad una vita pienamente umana, e l’economia a servizio dell’uomo e non il contrario, sono vie maestre di cambiamento. Il benessere che non disorienta e inaridisce relegando l’uomo in una condizione di vita egoistica, ma che sia alla portata di tutti e apra alla condivisione, è un altro stile sostanzialmente necessario.
Non è un mondo più giusto e più equo quello che si dimentica di una larga parte dell’umanità ed è incapace di un uso razionale e sostenibile delle risorse, di una migliore distribuzione dei beni della terra e di prendere decisioni lungimiranti per arginare gli effetti della povertà.
Occorre dunque rimboccarsi le maniche sempre, oggi nell’urgenza, domani per evitare le urgenze.