E’ primavera (o almeno se ne sente la presenza) e, quando il tempo lo permette, devo dedicarmi a un paio di chilometri di buon passo per quegli spiacevoli problemi che l’età e le malattie metaboliche consigliano caldamente di tenere sotto controllo. Ma, essendo all’antica, non mi metto in tuta e scarpette ginniche e me ne vado lungo una strada di una frazione. Ogni tanto mi fermo d’improvviso, raccatto da un prato un mazzo di verdure selvatiche e le metto in un sacchetto. Questa sera tra borragine, tarassaco, asparago selvatico e altre erbe innominabili farò un ripieno per dei cannelloni, lasciando la borragine “a crudo” nel ripieno. Almeno la mia passeggiata non ha solo consumato del tempo a vuoto.
Ripenso al fatto che nella Scuola Media ante riforma (dove ti smazzavi il Latino per tre anni e dove non c’erano “le Scienze”) la lacuna, almeno per la botanica, mi fu colmata da un simpatico prete che poi ritrovai come professore di Scienze al Liceo. Da lui appresi i nomi latini di tutte le piante incontrate in una serie di passeggiate quotidiane che valsero più del corso di Scienze in seconda Liceo. Ricordo pure bene l’insegnamento fondamentale di ricercare elementi quantitativi nel riconoscere le varie specie. E oggi? Oggi che la Scuola Media offre “Elementi e osservazioni di Scienze naturali” provate a chiedere a qualunque alunno che pianta sta calpestando. Ne sentirete di belle. Come scambiare le larghe foglie di vite con la lattuga… Ma non c’è da stupirsi. La Scienza è ritornata aristotelica. Il Libro (seguito maniacalmente dal docente, anzi letto, errori inclusi) esordisce con il “Big-Bang” per cui tutto il resto è solo dettaglio a margine…
La conoscenza delle verdure selvatiche la devo invece a mio padre (professore di Matematica e Scienze in quelle Scuole che un tempo erano chiamate “Avviamento Professionale”). Prima della riforma del ’62 si selezionava, infatti, il futuro di un giovane già a 10 o 11 anni su una Scuola avente per sbocco il lavoro o su una Scuola avente un lungo percorso permeato di “Latino”. Forse qualcuno vi potrà confermare che, già nella Scuola Media c’era la traduzione dal Latino in Italiano ma anche quella dall’Italiano in Latino e solo la classe del mio anno di nascita si scampò la traduzione in Latino all’esame di Maturità. Ma nella mia divagazione sul nostro sistema scolastico dimenticavo il perché della conoscenza delle verdure selvatiche che crescevano spontanee in terra lombarda. Semplice: il contratto nazionale di lavoro di mio padre non era (negli anni ’50 del secolo scorso) come quello che poi diventò il mio intorno agli anni ’80 del secolo scorso. La ricerca di verdure selvatiche non era dettata da interessi per la Botanica (come nelle mie passeggiate con un prete) ma da interessi molto pragmatici di mettere qualcosa in tavola a cena. E sicuramente questo “interesse pragmatico” era condiviso anche dal mio Maestro di terza elementare che spesso incontravamo a passeggio nei campi come noi.
Oggi viviamo in un mondo migliore? Le bietole (poco selvatiche) sono vendute già imbustate e lavate nel supermercato (Euro 2.45) e qualcuno confonderebbe il sedano con i porri, se non ci fosse l’etichetta.
Ma raccogliamo l’esile filo di questi pensieri del passato. Ci siamo ormai assuefatti a uno stile di vita del benessere in divenire, al punto che il rarissimo netturbino (pardòn: “operatore ecologico”) non usa più la vecchia “ramazza”, ma un soffiatore a motore che brucia miscela al 2% ammorbando l’aria… Per quanto ancora? … suvvia, un po’ d’ottimismo… finché c’è petrolio c’è speranza.