Amato/48: le difese e la stampa

Aldo Bianchini

SALERNO – Nell’attesa del ritorno in aula fissato per il prossimo 12 marzo è il caso di soffermarsi su alcune considerazioni che attengono il rapporto tra gli avvocati che difendono gli imputati e la stampa, un rapporto vistosamente difficile perché improntato su basi d’argilla. Ovviamente alludo alla questione generale anche se le stesse difficoltà si stanno manifestando, comunque e forse con più virulenza, nel processo per il cosiddetto “Crac Amato”. Nella fattispecie ci sono stati due episodi ben catalogabili tra l’avvocato Cecchino Cacciatore (difensore di Mario Del Mese junior) e la stampa, e gli avvocati Massimo Torre e Paolo Toscano (difensori di Paolo Del Mese) e la stampa. Il primo (Cacciatore) in data 29.11.13 con un durissimo comunicato tra l’altro dice: <<Sono stati pubblicati fatti in modo distorto e lontani dalla verità, in quanto ne è stato omesso il controllo e, soprattutto, strumentalizzato il contesto nella misura in cui essi sono ad arte legati all’attività politica dei sigg.ri De Luca stessi … Infine debbo stigmatizzare il possesso di tali notizie da parte di persona estranea, dal momento che sui relativi atti fu imposto segreto !>>.  I secondi (Torre e Toscano) non hanno, comunque, fatto sconti costringendo i giornali ad una lunga ed analitica precisazione del tipo: <<In qualità di difensori del dottor Paolo Del Mese imputato nel processo relativo al fallimento Amato ed in riferimento ad alcuni articli apparsi sui quotidiani in data 06/02?2014, nel confermare l’intenzione del nostro assistito di difendersi da ogni accusa nelle aule del Tribunale, di fronte ad alcune frasi  riportate dagli organi di stampa   relative al contenuto del controesame del dott. Giuseppe Amato junior reso in udienza … Il nostro assistito, tramite noi, intende sottolineare questo dato per una oggettiva e più corretta informazione giornalistica … >> (fonte Il Mattino del 7.2.14). Nei giorni scorsi mi sono chiesto, a più riprese, come mai tanta animosità e precipitazione nel voler rimarcare un certo comportamento scorretto o almeno sopra le righe di una stampa che ad ogni udienza, per non dire ogni giorno visto che i casi giudiziari sono tanti, stà a stretto contatto con tutti gli avvocati difensori, in alcuni casi anche a braccetto ed a passeggio per i corridoi del tribunale. Quel chiacchiericcio continuo, quasi intricante, a volte asfissiante,  perché va bene nella maggior parte dei casi e va male quando, forse per comodità e convenienza, gli stessi avvocati si chiudono a riccio e non scuciono più notizie velinate ?  Quando, molto di rado, assisto a queste sceneggiate con giornalisti scodinzolanti e con avvocati con il nasino all’insù mi verrebbe voglia di mandare davvero tutti a quel paese; capisco che è colpa dei giornalisti non riuscire ad elevarsi un po’ pur di ottenere la “sacra notizia” da pubblicare, ma gli avvocati devono smettere di pensare di essere i padroni delle ferriere e di poter fare il bello e il cattivo tempo. Da che mondo è mondo i giornalisti corrono verso la fonte delle notizie e se il rubinetto degli avvocati d’incanto si chiude devono subito provvedere ad aprirne un altro, altrimenti se a casa (la redazione !!) non portano niente rischiano anche quel poco di visibilità che ricevono in cambio delle cavolate raccontate loro, e non soltanto dagli avvocati. La cosa più sconcertante, però, è costituita dal fatto che professionisti di vaglia come gli avvocati penalisti possano rizelarsi e meravigliarsi perché “notizie secretate” possano essere lette sui giornali come se gli operatori degli stessi avessero addirittura a loro disposizione gli interi incartamenti processuali. Eppure diversi di questi avvocati erano già in attività di servizio all’epoca della tangentopoli salernitana quando, almeno in un caso, la stessa Procura della Repubblica accertò che un intero fascicolo processuale era finito nella redazione di un prestigioso giornale cittadino tra le mani di uno dei suoi redattori di punta che ogni giorno provvedeva a pubblica, spezzone dopo spezzone, interi interrogatori giudiziari. Quel caso, presto, fu mandato sapientemente in archivio; forse la verità non conveniva a nessuno. Ma allora mi chiedo perché le pur accorsate difese di alcuni imputati eccellenti si arrabbiano tanto di fronte a fatti che si ripetono con una inquietante metodicità; quella della violazione del segreto istruttorio è uno dei rebus irrisolti di questo Paese e senza l’aiuto degli stessi avvocati penalisti non si andrà da nessuna parte. Voglio soltanto sperare che le intenzioni di Cecchino Cacciatore, di Massimo Torre e di Paolo Toscano (che conosco e stimo per la loro grande professionalità) di voler fare chiarezza proprio su questo aspetto della violazione del segreto istruttorio non si infranga, come è accaduto centinaia di altre volte, sugli scogli di una giustizia che non vuole, o non può, agguantare la verità. Se ciò accadrà di nuovo perderemo tutti: giornalisti, magistrati, avvocati e imputati.

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