SALERNO – Ho parzialmente mutuato il titolo dell’intervento dell’arch. prof. Alberto Cuomo (apparso su Cronache del Salernitano di martedì 21 gennaio) per ritornare su un argomento che in passato ho trattato molto spesso e che, alla luce delle riflessioni di Cuomo, pone almeno una domanda di grande attualità: “Qual è il ruolo degli ordini professionali nel quadro di una ristrutturazione urbanistica della città ?”. Me lo sono chiesto da almeno una quarantina di anni, da quando cioè negli anni ’60 fu redatto dopo ampia e lunga discussione partecipativa il famoso PRG (Piano regolatore Generale) della città di Salerno. Da allora è come se sugli ordini professionali, soprattutto quelli tecnici, fosse calato il sipario dell’oblio fatto di silenzi e di assenze, per non dire altro. L’ottimo intervento di Alberto Cuomo parte da una riflessione attuale, dopo la dichiarazione di un paio di architetti sul Crescent e dopo il fragoroso silenzio del presidente dell’ordine arch. Maria Gabriella Alfano, per aprire uno squarcio (anche se piccolo e non esaustivo !!) sul passato che dovrebbe essere rivisto e corretto alla luce dei fatti già accaduti e che stanno accadendo. Come osservatore indipendente ho registrato che dopo quella ventata di partecipazione e di discussione tra “città compatta e città diffusa” degli anni ’60 che rimase fine a se stessa perché la “colata di cemento” vinse e travolse tutto e tutti. Va detto, però, come valore storico assoluto che quella colata di cemento, sproporzionata e contro ogni logica urbanistica dell’epoca, produsse un indotto economico-commerciale-industriale ed anche turistico i cui benefici (verosimilmente non previsti e, quindi, inattesi) sono arrivati fino ai nostri giorni. Silenzio assoluto e mancanza di progettualità nei successivi vent’anni, almeno fino a quando il cosiddetto “laboratorio laico e di sinistra” del PSI di Carmelo Conte non rispolverò il principio che occorreva una nuova, vera ed efficace “manovra urbanistica”. Questo principio diede la stura ad una partecipazione tecnica (architetti, ingegneri, geometri, ecc. !!) con oltre 230 soggetti impegnati nelle progettazioni più svariate, avveniristiche e moderne; ma tutte erano incasellate in un discorso innovativo di manovra urbanistica venuto fuori dagli unici due grandi appuntamenti come la conferenza di servizi “La Salerno possibile” e, soprattutto, quel documento passato alla storia come “Salerno progetta Salerno”. Ma anche questo grande momento della manovra urbanistica aveva un neo paradossale; da un lato impegnava oltre 230 tecnici ma dall’altro non riusciva ad includere nella “grande discussione-dibattito” direttamente gli ordini professionali che apparivano (almeno dal mio punto di osservazione) come castelli inaccessibili a tutela di singoli orticelli di potere. L’esempio più lampante venne dato, in quegli anni, dalla presidenza dell’ordine degli ingegneri bloccata per decenni sullo stesso nominativo. E questa assenza storica dal dibattito degli ordini professionali ebbe le sue ripercussioni molto negative sull’intera storia politico-giudiziaria della Città; nel senso che quando, nel doloroso percorso di tangentopoli, gli ordini potevano e dovevano intervenire, per dirimere la querelle sulla esecutività o meno dei progetti dei grandi lavori pubblici presi di mira dalla magistratura, si chiusero ancor più in un assordante e vergognoso silenzio. Anzi gli ordini non risposero neppure agli appelli insistenti degli indagati/imputati (tutti rigorosamente divisi tra ingegneri, architetti e geologi) e diedero risposte molto evasive anche alle necessarie spiegazioni che i magistrati reclamavano per meglio comporre le loro accuse. Finì nella maniera più oscena possibile che singoli ingegneri e/o architetti (chi impegnato come CTU per conto della Procura e chi da volontario delatore) si diedero da fare per ottenere più incarichi (i CTU) e per usufruire di tutte le agevolazioni di legge (gli inquisiti) e per dimostrarsi “sempre più servili” nei confronti del potere che in quel momento era soltanto appannaggio della magistratura inquirente e rampante. Il silenzio degli ordini professionali e la vena accusatrice dei CTU e dei delatori produsse la fine di quella splendida esperienza della manovra urbanistica partecipata e concertata. Manovra cui prese direttamente parte, e non certamente in maniera secondaria, anche il nostro Alberto Cuomo che in quel momento di sua crescita professionale scelse, e lo fece con serietà e dignità, il “suo principe” di riferimento (del quale non fu mai servo sciocco, anzi !!) nella figura dell’allora ministro per le aree urbane on. Carmelo Conte. In questo sono perfettamente in linea con il pensiero di Alberto Cuomo, meglio scegliere un principe e servirlo senza mai annullare la propria dignità e le proprie idee, che non scegliere nessuno e far finta di essere indipendente da tutti. Per questi motivi l’assenza e il silenzio degli ordini professionali è da condannare senza se e senza ma, un’assenza inquietante che non porta da nessuna parte. Al contrario la presenza e la partecipazione degli ordini professionali potrebbe addirittura se non condizionare almeno indirizzare le scelte politiche che competono certamente ad altri, principi compresi. Qui, invece, con il “principe De Luca” siamo arrivati al punto di avere un “laboratorio laico e di sinistra” che ha un solo cervello, quello del sindaco, che fa tutto, dalla progettazione all’esecuzione passando per la visione urbanistica rispetto alla quale si piegano anche i cervelli dei professionisti più conclamati, pur di accaparrarsi progetti e parcelle dorate. Per chiudere, non posso non dare atto ad Alberto Cuomo che durante la sua “breve” permanenza alla presidenza dell’ordine degli architetti cercò, tra mille difficoltà e lotte intestine, di dare la svolta ad un ordine che dovrebbe essere il vero volano di idee e di progettualità urbanistica di una città che aspira ad un ruolo importante nel Paese. Anche allora l’ordine non seppe, non volle o fu costretto a combattere e sconfiggere con manovre occulte la presidenza Cuomo. E siamo ripiombati nel silenzio e nel servilismo più becero, purtroppo
direttore: Aldo Bianchini