SALERNO – Il 3 novembre scorso, nel chiudere la puntata n. 15 della vicenda relativa all’Angellara Home, avevo scritto testualmente così: <<In aula il prossimo 3 marzo dovranno ritornare anche gli assolti (don Enzo Rizzo, Nicola Sullutrone, e i comunali Matteo Basile, Nicola Gentile, Giuliana e Roberto Rago, Paolo Mazzucca e Charles Richard Capraro) in quanto il pm Roberto Penna ha interposto appello anche per la loro assoluzione. Nelle more di questo intervallo di tempo l’arcivescovo emerito ha pubblicato un libro che ripercorre “Una vicenda amara durata cinque anni per servire la comunità” ; un libro che doveva essere presentato al pubblico nel dicembre del 2012 e che per “volere dell’arcivescovo Moretti” non è stato mai presentato. Credo, però, sia giunto il momento di pubblicarlo a stralci capitolo per capitolo nelle prossime puntate di questa vicenda>>. Il momento è giunto ed è giusto cominciare dal primo capitolo del libro (mai presentato ufficialmente al grande pubblico) denominato: <<una croce lunga cinque anni>> che descrive pedissequamente l’iter storico-burocratico della angosciosa vicenda. In pratica in occasione del Grande Giubileo del 200 <<per rendere un servizio ai pellegrini che si recavano a Roma>> fu presentata domanda al Comitato centrale per il restauro del Villaggio San Giuseppe. <<Data la ristrettezza dei fondi si intervenne solo in favore delle Città d’Arte. Forte fu la delusione>>. Qualche tempo dopo, però, in una seduta della Conferenza Episcopale, svoltasi a Pompei, fu comunicata la stipula di un protocollo di intesa, sottoscritto dal Governatore, on. Antonio Bassolino, e dal presidente della CEC, card. Michele Giordano. Il protocollo prevedeva che le diocesi, titolari di colonie o di case per ferie o di case di accoglienza o di case famiglia (legge regionale 24.11.2001 n.17), potevano avanzare richiesta di finanziamento alla Regione per il restauro. Una volta verificata la finanzi abilità dell’opera fu subito dato incarico ai tecnici Giovanni e Nicola Sullutrone e la regione approvò il progetto e finanziò l’opera. Il Villaggio fu inaugurato il 17 settembre 2005 alla presenza del governatore Antonio Bassolino, del vice governatore Antonio Valiante, del presidente della provincia Angelo Villani, del sindaco di Salerno Mario De Biase e dei parlamentari Alfonso Andria, Vincenzo De Luca e Roberto Manzione. <<Gli oratori sottolinearono l’ottima esecuzione dei lavori, l’economicità degli interventi, l’ampia recettività della struttura messa a disposizione di tutti a basso prezzo e senza scopo di lucro>>. L’arcivescovo emerito Mons. Gerardo Pierro scrive testualmente nel suo libro: <<Negli anni successivi, infatti, la colonia “San Giuseppe” aprì le porte per accogliere i Vescovi della Campania per gli esercizi spirituali annuali; le assemblee per la celebrazione del Sinodo Diocesano ed altre manifestazioni organizzate da gruppi, associazioni e movimenti. La spiaggia, di proprietà della diocesi, fu messa a disposizione gratuita dei portatori di handicap, dei presbiteri, dei religiosi e di quanti ne fecero richiesta. Per le famiglie si praticavano prezzi modici. Nella gestione, era del tutto estranea la ricerca di indebito arricchimento, praticando “erga omnes” solo prezzi per coprire le spese>>. Tutto chiaro ? Purtroppo no !! Il diavolo (è il caso di dire) ci mise le corna e finirono tutti sotto processo sperimentando il peso della croce dal 2008 al presente. Viene spontanea la domanda: di chi la colpa ? Per rispondere è giusto e necessario ricorrere allo scritto dell’arcivescovo emerito: <<La maggiore colpa ricade su chi inoltrò e favorì il libello accusatorio alla Procura della Repubblica di Salerno, provocando l’indagine da parte del PM (Roberto Penna !!), preoccupato –come sostenuto da qualcuno- non tanto di accertare la verità dei fatti, quanto piuttosto di colpevolizzare, ad ogni costo, i malcapitati. Ci furono due filoni d’inchiesta: uno promosso dai giudici di via Rafastia che, con estrema saggezza e spiccata professionalità, procedettero all’archiviazione, visto che si trattava di situazioni interne al presbiterio salernitano, frutto di invidie e gelosie; e l’altro, affidato al pm Roberto Penna che, a differenza dei giudici di Via Rafastia, dopo l’indagine svolta, mise sotto processo me e i miei più stretti collaboratori, creando un castello accusatorio fondato sul nulla. Nessuno pensi che avrei voluto un trattamento di favore. La legge è uguale per tutti. Ma per un magistrato che si avventura in una vicenda che coinvolge il vescovo diocesano occorre un supplemento di saggezza e prudenza, oltre alla competenza professionale>>. La giusta indignazione del presule scoppia quando, nel corso degli eventi giudiziari, si ritrova solo con se stesso per chiedersi quale debba essere il ruolo della stampa locale che spesso ha grandi responsabilità perché si appiattisce troppo supinamente sulle posizioni della Procura e che per vendere qualche copia in più calpesta il la dignità, il decoro e l’integrità delle persone; e quale ruolo hanno recitato i presbiteri o almeno alcuni di essi se, come si racconta, alla notizia del sequestro del Villaggio avrebbero brindato con alcuni laici in un camping di Paestum. Alla prossima
Altro articolo da incorniciare per la chiarezza e l’analisi. Occorre una inversione di tendenza dove ognuno finalmente faccia la sua parte.