di Maria Luisa Perrone
Avevo sette anni quando sei venuto al mondo
e chi l’avrebbe detto, che il mio amore per te sarebbe stato così profondo.
Ma se per un momento alla finestra dei ricordi mi affaccio,
ricordo la prima volta che ti ho tenuto in braccio.
La prima volta che ti ho visto il viso
ed è uscito spontaneo il mio più bel sorriso.
Abbiamo passeggiato mano nella mano lungo la via,
ma non mi hai mai chiamato zia,
ma col tuo fare spiritoso
mi chiami ancora con quel nomignolo affettuoso.
A volte mi chiedo di quel nostro cammino,
cosa ricorderà quel bambino.
Avrà capito che l’ho amato e l’ho curato con tanta attenzione?
Ricorderà ogni nostra singola emozione?
Non vorrei che con sfiducia
pensasse che ho tradito, anche solo una volta, la sua fiducia.
Ora hai diciotto anni, sei un piccolo uomo,
ma per me rimarrai sempre il mio primo, grande dono.
Il nostro affetto solido, perché non costruito sulla sabbia,
mi riporta a quel bambino che pendeva dalle mie labbra.
Ora vai, come ogni ragazzo della tua età
incontro al tuo avvenire, inseguendo la libertà.
Ma se ti guardo ho capito,
che con te non abbiamo fallito.
C’è tanto ancora di quel bambino,
un esempio di Pascoli e il suo fanciullino.
Non lasciare i tuoi sogni chiusi in un comodino,
decidi tu il tuo destino.
Fallo, non per essere diverso,
ma per non pentirti di non essere stato te stesso.
Ora i sogni cominciano a farsi grandi:
la macchina, il lavoro, il diploma sono pensieri pesanti,
ma un giorno di colpo ti troverai adulto
e ad ogni tuo gesto dovrai pensarci molto.
Vivi la vita, come sai fare tu,
te lo dico dall’alto dei miei sette anni in più,
che potranno sembrarti una scemenza,
ma ti giuro, fanno la differenza.
Adesso sento che piano piano
stai lasciando la mia mano,
ma se un giorno ti troverai a terra
voltati e vedrai la mia mano che ti afferra.