SALERNO – Prima di accingermi a raccontare questa storia che necessità di più puntate mi corre l’obbligo di fare una premessa doverosa e cioè che uno dei protagonisti di questa vicenda di “mala giustizia” è mio fratello. Per questo motivo cercherò di essere molto attento ai fatti nudi e crudi pur rimanendo “caustico” come è nel mio costume giornalistico che qualcuno, anni fa, ha voluto benevolmente battezzare con l’appellativo di “metodo Bianchini”. Spesso mi piace iniziare il racconto dalla fine per dare subito l’immagine corposa di che cosa si tratta. Dunque la scena finale si svolge tutta in Tribunale, a Salerno, nella sezione lavoro, dove del resto la storia era cominciata qualche mese prima. Un avvocato entra in una delle cancellerie e intravede dietro una scrivania un funzionario che quasi si nasconde alla vista del giovane avvocato che, invece, lo incalza e fa: <<Dottore, ma lei è qui in servizio, ma non è stato allontanato dagli effetti della legge Fornero ?>>. Imbarazzato, quasi colto dal rossore, il funzionario timidamente risponde: <<Avvocato, sa come sono i giudici !!>>. Il colloquio finisce qui, il giovane avvocato non vuole infierire anche perché di quel “signore” avrà certamente bisogno nei mesi e negli anni a seguire. Al posto suo gli avrei chiesto quanto meno di esprimere meglio il pensiero sul fatto che “i magistrati, secondo l’opinione corrente, fanno a chi figlio e a chi figliastro”; glielo avrei chiesto non perché il funzionario potesse risolvere qualcosa ma soltanto per uno sfogo personale e caratteriale che non sopporta il doppiopesismo; soprattutto in un momento storico in cui il richiamo pubblico alla trasparenza e al senso di giustizia è sempre più pressante e doveroso. Siamo costretti, purtroppo, a dar notizia di avvenimenti che non fanno altro che aumentare, a giusta ragione, la percezione –da parte del cittadino– di una gestione spesso “personalistica” della cosa pubblica e di una giustizia dai “due pesi e due misure”. Si tratta di una storia che ha avuto inizio alcuni mesi addietro, e terminata poche settimane fa, che ha avuto tra i suoi protagonisti un noto personaggio della nostra città. Accade che, dopo la riforma “Fornero” che innalza i requisiti per conseguire la pensione, prima dell’estate 2013 vengono collocati coattivamente a riposo due dirigenti scolastici e un funzionario di cancelleria del tribunale di Salerno “rei” –a giudizio dell’amministrazione di appartenenza– di aver compiuto prima della riforma (cioè entro il 31 dicembre 2011) il requisito per accedere alla vecchia pensione di anzianità. Insomma, la pubblica amministrazione da un lato eleva l’età e i requisiti per il conseguimento della pensione, costringendo in servizio chi vorrebbe congedarsi, dall’altro colloca a riposo d’ufficio chi vorrebbe (e potrebbe !!) ancora rimanere a lavoro. Ma questo commento sulla contraddittorietà dell’operato del pubblico datore di lavoro è solo un inciso, quel che conta per la nostra storia è che i due presidi e il cancelliere in pensione non vogliono andare, e ritengono di non poter essere obbligati a farlo: in effetti tutti e tre si trovano nella medesima situazione, ovvero non hanno compiuto l’età pensionabile prevista dalla normativa vigente (66 anni e tre mesi) e non hanno maturato l’anzianità massima di servizio (attualmente 42 anni e 3 mesi), pur avendo raggiunto entro il 31 dicembre 2011 il requisito per ottenere (facoltativamente) la vecchia pensione di anzianità. Si rivolgono allora tutti e tre, in via d’urgenza, al competente tribunale di Salerno, impugnando il provvedimento di collocamento a riposo e chiedendo di poter proseguire il proprio rapporto sulla base del fatto che, mentre il compimento dell’età o il conseguimento della anzianità massima consentono all’amministrazione il pensionamento d’ufficio, la pensione anticipata rimane una libera scelta del lavoratore, che non può essere imposta. Due diversi giudici della sezione lavoro danno loro ragione: preso atto che la legge non può essere interpretata in maniera arbitraria dall’amministrazione e che una facoltà non può essere trasformata in un obbligo, nel cuore del mese di luglio, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, la dott.ssa Maria Teresa Belmonte (cognata del giornalista Michele Santoro e protagonista di tante clamorose inchieste giudiziarie, prima di approdare alla sezione lavoro) ordina al MIUR di proseguire il rapporto di lavoro con i due presidi e dispone la prosecuzione del rapporto del cancelliere alle dipendenze del Ministero di Grazia e Giustizia. Dunque due giudici che assumono la stessa determinazione per i tre casi perfettamente identici nella forma e nella sostanza. Entrambe le amministrazioni, però, non mollano, e a fine luglio presentano reclamo avverso le tre ordinanze del tribunale in funzione di giudice del lavoro: la discussione del reclamo, per tutti e tre i protagonisti, viene fissata per il 4 settembre, dinanzi ad un collegio feriale della sezione lavoro presieduto dal dott. Diego Cavaliero. Per oggi fermiamoci qui. Alla prossima.
direttore: Aldo Bianchini
Ottimo inizio! Seguirò con attenzione e passione.
Bravo bisogna denunciare i torti ricevuti