Aldo Bianchini
SALERNO – La risposta alla domanda contenuta nel titolo è molto semplice: Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, non è mai stato e non sarà mai un “capobastone”; è arrogante (forse perché è timido anche se non lo dimostra !!) ma non assume mai atteggiamenti mafiosi. Anzi l’epiteto con cui lo ha apostrofato il suo ex amico Massimo D’Alema è’ assolutamente lontanissimo dal modo di fare e di pensare del lucano De Luca. In questo mi trovo assolutamente in linea con il pensiero di Ambrogio Jetto che nell’editoriale del 23 novembre su Cronache del Salernitano spiega compiutamente qual è il significato di “capobastone” in tutte le accezioni della lingua italiana. Ciò, ovviamente, non inficia la caratteristica principale di De Luca che, come dice sempre Ambrogio Jetto, è quella del “collezionista di poltrone” nell’ottica di quello che sembrerebbe il termine più appropriato con cui D’Alema avrebbe potuto apostrofarlo e cioè “caimano” per il modo con cui il sindaco di Salerno azzanna la politica e i suoi esponenti riuscendo sempre (almeno da venti anni a questa parte !!) a rigenerarsi sulle loro ceneri, quasi come fanno i caimani in carne ed ossa nella savana. La storia di De Luca, del resto, non è e non sarà dissimile da quella di tanti altri, con il valore aggiunto che è quello della “longevità politica” che probabilmente è la più lunga in campo nazionale per un politico locale. Sembra, però che ora qualcosa stia rapidamente cambiando nel “firmamento deluchiano”; è scattata forse la molla che inverte la tendenza quando l’astro ha raggiunto l’apice della sua ascesa. Dopo lo scossone terribile tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 quando il pm Gabriella Nuzzi chiese per ben tre volte l’arresto di Vincenzo De Luca che per ben tre volte fu “salvato” dal gip Gaetano Sgroia in questi giorni si registra un attacco concentrico della procura di Salerno nei suoi riguardi, perché è inutile che si illude, che fa finta di non capire, che reagisce scompostamente, che poi cerca di rientrare nelle righe; sa benissimo che vogliono lui e soltanto lui, il caimano. Il fatto è, comunque, strano per non dire altro; dopo anni di apparente silenzio compiacente (almeno fino a poco tempo fa, e la vicenda Amato docet !!) improvvisamente la “giustizia” si sveglia, si scuote e parte all’attacco; quella stessa giustizia che venti anni fa, invece, aveva apertamente favorito la sua ascesa nelle stanze del potere della città da quelle più piccole e dimensionate di Via Manzo. Addirittura è accaduto ciò che era sinceramente impensabile; nella stessa giornata del 20 novembre 2013 quasi all’alba Il Mattino ha divulgato la notizia dell’inchiesta sul tesseramento e poche ore dopo è arrivato il ciclone del sequestro del Crescent e degli avvisi di garanzia. E chissà fra poco sarà rivista anche la sua posizione nello scandalo del crac Amato. Insomma quasi come se la magistratura fosse partita di colpo all’assalto di Fort Apache. Certo che in questi ultimi tempi De Luca le ha sbagliate tutte (troppe proteste contro il suo partito, troppe volgarizzazione contro i suoi amici di merende (citazione di Jetto !!), troppo autoritarismo, troppe luci d’artista, troppi soldi pagati a destra e a manca per cose inutili (leggasi Vittorio Sgarbi !!), troppe risposte non date, troppa banalizzazione di alcune cose talmente evidenti anche per un cieco, ecc. Si dice che il troppo alla fine storpia, ed è proprio vero anche per l’invincibile De Luca. Il suo forte “Fort Apache” è apparso sempre come un punto fermo ed inespugnabile; ha avuto, è vero, avversari non in grado di impensierirlo qualcuno, però, ci ha anche provato (Alfonso Andria e Edmondo Cirielli quelli più rappresentativi) ma ha avuto la sfortuna di essere stato sempre impallinato dal fuoco amico nel momento decisivo dello scontro. Ma come è nato il potere di Vincenzo De Luca ? Le ipotesi sono tante, una delle più accreditate vuole che il suo impero sia stato costruito su una base d’argilla che il tempo ha solidificato: la caduta di Conte e Del Mese, il voto di un inquisito, l’arresto di Giordano, la presenza di un uomo dei servizi, la cena alla Lucertola e la “fortunosa” protezione giudiziaria agli inizi del ’94. Queste, in pratica, sarebbero le colonne portanti di Fort Apache che cercherò di descrivere in una prossima occa