Maria Chiara Rizzo
Una giornata storica oppure un affronto alle libertà pubbliche. Non è un semplice punto di vista, ma una questione sociale. Giovedì scorso 31 ottobre, per la prima volta in 90 anni, quattro deputate velate si sono presentate in seduta parlamentare, in un Paese musulmano, ma laico, che fino a poco tempo fa vietava alle donne di indossare il velo in istituzioni pubbliche. Le deputate, elette durante le scorse elezioni legislative nel 2011 dalle liste del Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP), a cui appartiene il primo ministro Erdogan, prima della seduta avevano annunciato: “Daremo inizio a una nuova e importante era, in cui giocheremo un ruolo fondamentale. Saremo le portabandiera”.
Il partito del presidente turco ha abolito solo di recente il divieto di indossare il velo islamico in ambienti istituzionali pubblici e ha chiesto agli altri parlamentari di rispettare la scelta delle quattro deputate.
Mentre la stampa locale la definisce una “giornata storica”, l’opposizione condanna la caduta di un simbolo storico e sociale importante della Repubblica laica fondata da Kemal Ataturc nel 1923, improntata sulla separazione tra stato e religione. I partiti di opposizione denunciano una reislamizzazione del paese da parte del premier Erdogan. Una delle quattro deputate, Nurcan Dalbudak, aveva dichiarato prima di entrare nell’Assemblea di Ankara: “Non sappiamo quale sarà la reazione, ma entreremo velate e continueremo a fare il nostro lavoro”.
Sebbene non ci sia alcun testo che proibisce di indossare il velo in parlamento, il Partito repubblicano (CHP), di stampo laico, ha espresso parole di disapprovazione nei confronti delle deputate, commentando: ”Tutti noi siamo d’accordo sul fatto che si tratta di una strumentalizzazione della religione da parte dell’AKP”, – poi ha aggiunto la deputata del CHP, Dilek Akagun Yilmaz: “non resteremo in silenzio davanti a queste azioni che minano il principio di laicità”.