SALERNO – “Quando la classe non è acqua”, recitava e recita così un antico detto; un detto che calza a pennello per la descrizione della figura del “nostro” chirurgo del cuore. Qualche giorno prima di ferragosto molti giornali hanno riportato la vicenda triste di una signora settantaduenne morta dopo un intervento al cuore praticato presso la torre cardiologica del Ruggi direttamente dal prof. Giuseppe Di Benedetto. I giornali, purtroppo, come d’abitudine si sono fermati al fatto nudo e crudo riferendo, comunque, che Di Benedetto aveva chiesto egli stesso l’autopsia sul cadavere della sfortunata signora per capire le vere cause del decesso, e che la perizia autoptica era stata eseguita dal dr. Zotti (vera garanzia illuminante nel campo) con esiti assolutamente favorevoli al cardiochirurgo, tali da indurre i parenti della deceduta a chiedere scusa al primario per aver dubitato della sua opera operatoria con richiesta alla magistratura di indagare. Purtroppo, dicevo, nessun giornale è andato al di là di questa grossa notizia pur essendo in presenza di un fatto davvero eccezionale che esula dal contesto generale ed abitudinario degli operatori nella pubblica sanità. Questo fatto, a mio avviso, merita di essere eclatato anche a livello nazionale perché ciò che ha messo in atto Giuseppe Di Benedetto necessita di una riflessione collettiva (anche sulle grandi testate giornalistiche e radio televisive) in quanto fa venire allo scoperto, forse per la prima volta in assoluto, come dovrebbe essere costruito il rapporto medico-paziente-parenti-struttura nell’ottica di una costante e duratura umanizzazione diretta a migliorare sempre, e comunque, l’essenziale relazione tra chi soffre e chi deve cercare di lenire le sofferenze. Premesso che il prof. Giuseppe Di benedetto è un ottimo conoscitore degli strumenti della comunicazione va detto che fare un gesto come il suo è impresa per pochi eletti; bisogna avere profonda conoscenza di se stesso, dei propri mezzi e della propria professionalità e bisogna essere intimamente convinti che la controparte non è carne da macello ma persona fisica in carne e ossa che ha tutto il diritto alla conoscenza ed alla spiegazione radicale, se non altro per somatizzare e superare l’evento luttuoso e doloroso. Giuseppe Di Benedetto incarna tutte queste caratteristiche che, sommate al suo aplomb britannico – al suo portamento elegante – signorile e sicuro, ne fanno un “uomo vero” prima ancora che un cardiochirurgo di chiara fama. Non credo sia facile trovare oggi sul mercato della sanità pubblica un “chirurgo”, peggio ancora se primario, capace del gesto di Di Benedetto che per esplorare nei meandri del suo intervento operatorio e per capire eventuali errori chiede d’iniziativa l’accertamento autoptico. No, non è un gesto mirato o di pura follia, quello di Di Benedetto è un gesto ordinario, un gesto che fa parte del suo essere e della sua cultura umanistica prima ancora che sanitaria. Quando il cardiochirurgo dice che nell’apprendere la notizia della morte della paziente è stato male, perché non riusciva a darsi una spiegazione logica del fatale evento, non sta recitando una parte studiata a tavolino, sta invece mostrando verso l’esterno (semmai con una metodologia comunicazionale ottimale !!) quello che è il suo carattere e la sua caratteristica professionale principale. Insomma per lui i pazienti non sono numeri legati alle cartelle cliniche, sono pazienti che vanno trattati uno per uno con metodiche appropriate in relazione alla tipologia del malessere di cui sono portatori. Si può ben dire, quindi, che Giuseppe Di Benedetto ha messo in campo un modello, ha tracciato l’unica strada da seguire nel rispetto di tutti gli attori in causa e di tutte le professionalità. Probabilmente i parenti della sfortunata signora hanno compreso appieno il messaggio valoriale che, senza parlare, il cardiochirurgo ha inteso lanciare a tutti, soprattutto ai tanti operatori sanitari che molto frettolosamente hanno da tempo dimenticato il giuramento di Ippocrate. E per questo quei parenti hanno chiesto scusa per i loro dubbi. Non c’è che dire, un esempio eccellente di buona sanità, e con i tempi che corrono rappresenta una vera boccata d’ossigeno. Solo per questo Giuseppe Di Benedetto meriterebbe la “cattedra universitaria” che qualche corvo al riparo di un linguaggio tutto politichese vorrebbe negargli.
direttore: Aldo Bianchini
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