SALERNO – Secondo i soloni della ASL la casa di cura “La Quiete” sarebbe da sempre perniciosamente attaccata al vile denaro e che in quest’ottica cercherebbe sempre di dilatare nel tempo i ricoveri dei pazienti affetti da turbe mentali. Sarà in piccola parte anche vero ma nel 90% dei casi, ed anche oltre, i sanitari della nota casa di cura si preoccupano innanzitutto delle “condizioni mentali” dei pazienti e poi, soltanto poi, anche della situazione economica dell’azienda che, ad onor del vero, con i tempi che corrono non è delle più floride. Questa situazione va avanti da oltre venti anni; la casa di cura ricovera e cura i pazienti, la ASL puntualmente non paga e all’emissione di ogni mandato trova, con le abili strategie messe in atto da solerti ispettori che della salute mentale dei pazienti non si preoccupano affatto, tutte le possibili motivazioni per tagliare senza legittime spiegazioni le fatture che presenta la casa di cura La Quiete. Ricordo che un anno, quando c’erano ancora le lire, su un importo di poco superiore ai due miliardi di rimborsi l’ASL tagliò la bella fetta di circa quattrocento milioni di lire addebitando alla clinica errori materiali che avevano del paradossale. La situazione va ancora avanti così, tra alti e bassi, tra minacce di licenziamenti da parte di Calabrese, scioperi dei dipendenti e riunioni in Prefettura; veramente una vergogna mentre la situazione della salute mentale di molti cittadini va letteralmente a rotoli. Ma chi se ne frega, tanto c’è sempre Pantalone che paga per tutti. Da qui si motiva lo sfogo di Leonardo Calabrese, uno sfogo espresso con rabbia e presumibilmente molto ben descritto nella relazione che il quotidiano Il Mattino dovrebbe aver avuto in visione e che io non ho. Ma la casa di cura La Quiete oltre ad essere sempre ai limiti della perfezione nella cura dei pazienti aggiunge tasselli di grossa levatura professionale e cerca di accompagnare i pazienti anche fuori della stessa clinica ben conoscendo il principio secondo cui <<i pazienti come Renzi, non ritenendosi malati, appena soli non si curano più>>; un principio questo fondamentale nella cura delle malattie mentali che probabilmente i medici pubblici non conoscono. Ed accade puntuale che ad ogni scadenza di ricovero in clinica prevista, per il primo periodo, quasi sempre in 60 giorni i sanitari della casa di cura provvedono ad avvertire l’ASL inviando apposita relazione sulle condizioni psico-fisiche del paziente e chiedendo, spesso, il prolungamento del ricovero al di là dei 60 giorni canonici. Dalla parte della ASL accade quasi sempre che chi legge quelle relazioni se la ride sotto i bassi pensando e ritenendo che Leonardo Calabrese (non accompagnato purtroppo dalla fortuna di una buona fama !!) sottoscriva quelle relazioni avendo come unico scopo l’interesse economico. Puntualmente, quindi, i pazienti che avrebbero bisogno di cure più lunghe e più approfondite vengono messi letteralmente in mezzo alla strada con le tragiche conseguenze che abbiamo sotto gli occhi: Vincenzo Salvo esce dalla clinica, va sul lungomare e uccide Mario Casolaro; 19 pazienti escono dalla clinica, vengono scaricati un una RSA (a San Gregorio Magno) e muoiono bruciati vivi per colpa della inettitudine di chi li doveva curare e sorvegliare; Lino Renzi esce dalla clinica, torna a casa e massacra la mamma. E veniamo a quanto annunciato ieri. Nel caso specifico di Lino Renzi la casa di cura La Quiete qualche giorno prima delle sue dimissioni previste per il giorno 5 giugno 2013 invia un fax all’ASL per segnalare che le condizioni psico-fisiche del paziente Lino Renzi sono molto gravi e che sarebbe necessario un prolungamento del suo ricovero; siamo al 31 maggio 2013 e questo è quanto sarebbe accaduto. Non vorrei che nella ASL qualche funzionario avesse cestinato il fax ritenendolo un modo spicciolo per fare quattrini che pur volendo l’amministratore Calabrese non potrebbe nemmeno fare, prima perché la ASL non paga e poi perchè quando paga taglia maledettamente gli importi fatturati. Ai magistrati il compito di verificare la veridicità di questa notizia come anche scoprire chi avrebbe ricevuto e letto il fax de La Quiete e chi non avrebbe mosso un dito per prolungare il ricovero di un soggetto notoriamente a grosso rischio (pochi mesi prima era stato destinatario di un TSO da parte del sindaco di Prignano Cilento). Dire oggi che la continuazione del ricovero avrebbe evitato il massacro è come sparare sulla Croce Rossa; come sempre la verità, forse, sta nel mezzo. Ci sono però altri aspetio importanti che tratterò nei prossimi giorni: la presunta inerzia dei residenti in quel palazzo; l’intervento del sindaco De Luca e dell’assessore ai servizi sociali Nino Savastano a capo di un “ufficio vuoto”; infine l’intervento di un ex assessore ai servizi sociali di qualche anno fa. Alla prossima.