Il sapore delle libertà

Barbara Filippone

Stamattina l’ansia di mia figlia per sostenere gli orali di terza media mi ha presa interamente, facendomi fare un salto indietro nel passato di 27 anni ai miei esami di stato di terza media, le stesse emozioni ma intrise di qualcosa di diverso e la consapevolezza che a sostenere gli esami non fossi più io ma solo una parte di me. Ciò che mi rende fiera di lei, a parte il fatto di aver sostenuto una condotta seria e responsabile per tutto il ciclo di studi, eccetto questi ultimi giorni in cui non ne poteva proprio più, è stata l’attenzione posta nello svolgimento della tesina su un argomento fra i più spigolosi e attuali della storia dell’umanità: il razzismo. Per questo tema ho sempre sentito una sensibilità accentuata, per tale motivo la mia scelta dell’argomento della tesi di laurea è caduta proprio sull’antisemitismo e sulla diversità dell’uomo ma attraverso gli occhi attenti di Hannah Arendt storica e filosofa ebrea protagonista della vita culturale in Germania e poi negli Stati Uniti tra gli anni trenta e sessanta. Così, indotta da questi input e insieme alle notizie di questi giorni della vita appesa ad un filo di un personaggio già leggenda mentre ancora in vita, hanno sottolineato ancor di più dentro di me la consapevoleza di quanto sia stato faticoso raggiungere per l’uomo un minimo di uguaglianza e di garanzia dell’uguaglianza. Tale uguaglianza, spesso sofferta come lo stesso Mandela sottolinea nelle fasi della sua politica anti apartheid lo hanno spesso portato a mettere in gioco tutto se stesso e non solo una parte della sua stessa vita. Credo che uomini carismatici come Nelson Mandela possano rappresentare il simbolo di quella parte dell’umanità che ha a cuore la libertà dell’uomo. Nella modernità del nostro essere liberi, spesso consideriamo la libertà personale al di sopra di tutto… Non solo la libertà diventa motivo di ribellione ma essa stessa diventa un traguardo sostenuto dalla comunità. Così è di questi giorni la libertà raggiunta dagli omosessuali in Francia a cui è stato consentito poter convolare a nozze, così nel medesimo spirito si è svolto il gaypride a Palermo… ma ciò che sento di dover riconsiderare in questi giorni di estremo fervore di libertà e uguaglianza è: ma dove finisce la libertà dell’uomo? Quando e come inizia? In alcuni casi è possibile che si trasformi in libertinaggio? Spesso la libertà del’uomo è stata messa in discussione, e riconsiderando proprio gli ultimissimi sviluppi della vicenda berlusconiana condannato in primo grado a sette anni ho visto riaprire le acquee… da un lato chi grida che giustizia è stata fatta, dall’altro che la giustizia dei giudici ha prevalso sulla giustizia delle stesse leggi. Dov’è dunque il limite? Un’idea di libertà io ce l’ho, non per nulla la Arendt mi ha condotta ad averla: un regime totalitario come quello del passato riduceva anzi cancellava tutto ciò che era spontaneo, casuale, imprevedibile nell’esistenza: cioè la vita stessa. La voce dell’esperienza doveva tacere. Uccidendo prima la personalità morale delle sue vittime, il sistema totalitario ne uccideva poi la personalità giuridica. Così per quanto possa non approvare la condotta morale di Berlusconi, posto che ciascuno nella sua vita privata possa fare ciò che meglio crede se questo non lede alcun individuo o commette alcun reato, sostengo che nel caso di Berlusconi siamo finiti in un regime quasi totalitario dove al processo Ruby, l’unico presunto colpevole è stato condannato a sette anni per entrambi i reati contestati: concussione e prostituzione minorile con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. È questa infatti la sentenza dei giudici della quarta sezione del tribunale di Milano, presieduti da Giulia Turri; giudici che hanno in qualche modo deciso a prescindere la scelta del pm, aumentandone addirittura la pena inflitta, così mentre tutto il mondo sostiene la lotta alla libertà e prega per Nelson Mandela, padre della democrazia, l’uomo che ha combattuto e sacrificato la sua vita, in Italia si discute di una sentenza a sfondo sessuale dove l’unico colpevole ha tenuto banco nelle scelte di più di un governo, dove spesso l’operato privato di un singolo è stato oggetto di dibattito senza che l’opposizione, peraltro oggi al governo, ha spesso posto in primo piano critiche pesanti ad una destra il cui operato sembrava dipendere unicamente dalle scelte sessuali del suo leader. Per cui mi sembra davvero grave pensare che la libertà tanto sostenuta da Mandela nella questione negra possa quasi essere ad un passo “spezzata” da quel totalitarismo della Arendt in cui l’ideale cristiano del rispetto della persona e del libero arbitrio sono spazzati via da un’organizzazione nella quale è diventato impossibile discernere tra comportamenti privati e operato politico. Ma noi non siamo in un sistema totalitario in cui la deresponsabilizzazione burocratica permette di scaricarsi da ogni responsabilità obbedendo a un ordine formalmente legittimo, senza avere il coraggio di pensare con la propria testa e riuscendo a vivere tranquilli dopo aver agito in questo modo. Noi non rifiutiamo di pensare, ciascuno esige di essere giudicato sperando che la giustizia sia guidata da teste pensanti sebbene non politiche. Invece credo oggi sia accaduto tutto l’opposto, si è voluto trovare un colpevole rinnegando ogni principio base dell’uguaglianza perchè il terzo potere, quale quello della Magistratura che dovrebbe essere garantista e scevro da ogni pulsione politica, ha dimostrato di non esserlo. Mi auguro che chi oggi gioisca della sentenza nel caso Ruby non debba mai trovarsi nelle maglie della giustizia e ivi restarvi ingabbiato…

Per tanto con l’augurio che la libertà e l’uguaglianza di ciascuno possano essere garantite spero che il potere delle cose reali, quali ad esempio trovare le soluzioni ai veri problemi dell’Italia, facciano nascere quanto meno la speranza che si possano oltrepassare le aspettative di ciascuno di noi iniziando un processo di comprensione nel dialogo col mondo. “Non vi è alcuna strada facile per la libertà” così sentenziò Mandela. Così sentenzia il “caso Ruby”.

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