di M. Ingenito
E’ scacco matto. In verità, ci eravamo andati un po’ soft nei giorni scorsi, allorquando analizzammo la vicenda della ‘fuga’ in patria dall’India dei due fucilieri della Marina Militare Italiana Massimiliano La Torre e Salvatore Girone.
Per una evidente e, per molti aspetti, comprensibile ritorsione contro il tradimento della parola data, ancor più grave perché consacrata da un atto pubblico e, perciò, ufficiale, l’’accerchiamento’ indiano si era concentrato su colui che, avendo garantito in prima persona in qualità di ambasciatore del nostro Paese, si li era fatti, poi, sfuggire su decisione del nostro governo.
Risultato? L’ennesima figuraccia internazionale, questa volta da parte della nostra diplomazia. Dal tragico al ridicolo via scorciatoia. Senza dare il tempo alla gente di capire. O, meglio, la gente ha capito d’istinto una sola cosa: che l’atto di forza del nostro governo nella persona del ministro degli esteri Terzi non onorava un Paese, la sua Marina, i suoi uomini.
Che, la coraggiosa decisione di dare scacco matto all’India poggiasse, infatti, su tutta una serie di inosservanze del diritto internazionale, era altrettanto cosa ovvia. Solo che, tra codici, leggi, interpretazioni e chi più ne ha più ne metta, alla fine ci abbiamo comunque rimesso la faccia.
Non sappiamo quale sia stato il ruolo diretto del ministro Terzi nella gestione dell’intera vicenda. Certamente si sarà avvalso di un brain gain, cioè di uno stuolo di cervelli tra consiglieri e collaboratori che lo hanno scientificamente orientato ad assumere la prima decisione: bloccare i marò in Italia.
Così come, dopo averci ripensato, avrà sempre avuto il conforto di quell’intero staff di tecnici e diplomatici che lo circondano e che, nonostante tutto, non sembra avere funzionato alla perfezione.
Più che un top-flop, solo un bel flop-flop. Che ci ha coperto di ridicolo in mezzo mondo.
Per salvare un po’ la faccia Terzi e il suo vice Staffan De Mistura (accompagnatore ufficiale ormai dei due sballottati marò) hanno abbozzato una difesa di ufficio: “L’India ci ha garantito che, in caso di colpevolezza, non irrorerà la pena di morte prevista in quel Paese!”
Come a dire: “Abbiamo ceduto, ma solo dopo avere avuto garanzie in tal senso!”
Verità e bugia insieme. Caracollando sul web, infatti, la notizia è vera, ma a metà. Perché quella garanzia era già stata data in occasione del primo rientro dei due marò in Italia per trascorrervi le vacanze natalizie. Tornati in India furono accolti da corone di fiori in omaggio al rispetto della parola data.
Questa volta non sappiamo come sono stati accolti. Dubitiamo tra i fiori. Di certo, per calare la testa a 360 gradi nei confronti dell’India per una figuraccia così clamorosa, Monti, Terzi e l’intero governo devono avere avuto i loro buoni motivi.
Nessuno lo dirà mai. Ma siamo intimamente certi che, in caso di mancato rientro dei due marò nei termini previsti (2 aprile 2013), quel Paese avrebbe proceduto all’arresto immediato del nostro ambasciatore.
Obtorto collo, quindi, Monti, Terzi e soci si son dovuti calare le brache. Certo, l’opposizione ha urlato contro questo atto di debolezza, il PDL in particolare. Tra i due mali, però, i responsabili di questo indecoroso episodio politico-diplomatico non hanno avuto scelta.
L’arresto ingiustificato di un ambasciatore non può che essere seguito da un conseguente atto di forza. La guerra o un’azione militare nel territorio del Paese nemico per liberare l’ostaggio. Una operazione alla Al-Qaeda in positivo, per intenderci, sul suolo nemico.
Di questi tempi, in questo Paese?
Meglio, allora, sorbirsi l’umiliazione e l’offesa, per quanto amare, che hanno colpito e colpiscono soprattutto i due militari della nostra Marina. Indipendentemente dalle loro eventuali responsabilità.
Per una decadenza che, per Dostoevskij, riguardò la nobiltà russa di fine Ottocento; per l’Italia di oggi, invece, investe l’intero governo, la sua politica estera, la nostra diplomazia.