AUSCHWITZ ANCHE PER ZINGARI, DISSIDENTI ED OMOSESSUALI

 

 Da Roberto Galdi

Il 27 gennaio del 1945 si aprivano le porte del campo di Auschwitz mostrando al mondo il Male assoluto. Un’ideologia si arrogò il diritto e il potere di dover prima segregare, e poi deliberatamente sterminare, l’intero popolo ebraico. Circa sei milioni furono internati in campi di concentramento e poi  mandati nei forni crematori. Quante volte ci siamo chiesti come l’uomo, creato ad immagine di Dio che è amore, sia stato capace di tanto. Qui la mente umana si ferma dinanzi all’abisso. Per questo è importante farne memoria, perché mai più avvenga. E pensare che, anche di fronte a tante prove e testimonianze, ci sono ancora persone e gruppi che negano l’Olocausto e si rifanno a quell’ideologia. Ma, insieme ai milioni di vittime di ebrei, molti non sanno che ci furono migliaia di zingari, testimoni di Geova, dissidenti, malati psichici, portatori di handicap e omosessuali. Questo solo  perchè alcuni avevano deciso  che non fossero “normali”. Ad esempio, per il codice penale tedesco  “Paragrafo 175”,  gli omosessuali dovevano portare un triangolo rosa al petto.  “Normali” erano coloro che potevano essere utili. Gli omosessuali non erano “utili” perché ritenuti “sterili”, un intralcio alla crescita, nella follia del loro progetto ideologico. Questo è accaduto nella Germania nazista, è accaduto nei lager sovietici, ma anche in Italia durante il periodo fascista. Si potrebbe obiettare che questo riguarda il passato. Eppure ancora oggi in alcune nazioni esistono leggi per cui, solo perché omosessuali si è imprigionati, condannati  e messi a morte. Fatti di cronaca: Pierre Seel, reduce dai campi di sterminio,  inorridì quando davanti ai suoi occhi fu ucciso l’amante; Friedrich-Paul von Grosrheim, processato, condannato e castrato. Sopravvisse due anni al campo di concentramento; David Kato, attivista omosessuale, ucciso a Kampala in Uganda; Daniel Zamudio, cileno, morto dopo sei ore di tortura perché omosessuale; Bobby Griffit, che si buttò dal ponte in California, perseguitato dal suo senso di colpa perché la famiglia cristiano presbiterale disapprovava il suo comportamento, e lo sottopose a visite psichiatriche, nella speranza di “guarirlo”. E ancora Mattew Wayne Shepard, 22 anni, che nell’ottobre 1998 a causa del suo orientamento omosessuale, fu derubato e torturato da due uomini, poi legato ad una staccionata morendo dopo 5 giorni di agonia; Alfredo Ormanno,  che si diede fuoco in piazza S. Pietro il 13 gennaio 1998 lasciando scritto:  “Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l’aria che voi respirate col mio venefico respiro, per aver osato di pensare e di agire da uomo, per non aver accettato una diversità che non sentivo, per aver considerato l’omosessualità una sessualità naturale, per essermi sentito uguale agli eterosessuali e secondo a nessuno, per aver ambito a diventare uno scrittore, per aver sognato, per aver riso. Non riuscivo più ad ingannare la mia biologica voglia di vivere, a farmi una ragione della mia emarginazione, sulla mia sconfinata solitudine”; Antonio Galatola e Giorgio Agatino Giannone, una coppia di giovani che furono uccisi nel giugno 1980 per delitto d’onore; Alan Turing, matematico inglese che decifrò nella seconda guerra mondiale i codici segreti tedeschi,  e poi condannato per “indecenza” a causa della sua omosessualità, suicidandosi all’età di 41 anni. E’ stata chiesta da alcuni scienziati una riabilitazione postuma tutt’ora negata. Nel giorno della memoria, in tante città d’Italia ci saranno veglie di preghiera per ricordare quanti, a causa di una “presunta diversità” sono stati perseguitati, uccisi, o sono morti suicidi. Quello che manca, al di là di ogni possibile intervento legislativo, è una educazione al rispetto di chi si ritiene e si vede diverso. Cosa necessaria affinchè  quello che è capitato, mai più avvenga.

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