di Michele Ingenito
Quando nasciamo siamo tutti uguali. Punti di vista, naturalmente, per quel che, per molti aspetti, appare semplice, scontato, vero. Non tutti sono d’accordo. Qualcuno ha scritto, infatti, che la vita è fondamentalmente ingiusta, a partire dalla nascita. E questo perché il capitalismo, ed il sistema su cui poggia e che lo rappresenta, fonda da secoli le proprie idee sul principio del “salario minimo in cambio del massimo profitto”. Una tesi cruda e banale insieme che consente ai ricchi di accumulare autentiche fortune sfruttando il lavoro a basso costo dei meno fortunati. Un concetto trito e ritrito che ha ispirato i trattati fondamentali dei più illuminati studiosi del pensiero storico-politico-economico-sociale del nostro tempo, della nostra contemporaneità, dell’era moderna. Basta guardarsi intorno nel mondo, però, per capire come sia sempre più necessario rivedere quei meccanismi di ingiusta condizione socio-economica: dai paesi più avanzati a quelli a democrazia ridotta, se non inesistente. Se si creassero, ad esempio, meccanismi utili a ridefinire livelli di maggiore giustizia sociale ed equità economica in un sistema globale di per sé fondamentalmente ingiusto, se la gente continuasse a pagare le tasse in maniera direttamente proporzionale ai benefici derivanti da un sistema che purtroppo non funziona, se una parte di quelle tasse venisse autenticamente investita a favore dei più disagiati e dei più bisognosi, forse la democrazia reale sarebbe davvero tale, frenando le avvisaglie non certo favorevoli che scintillano un po’ dappertutto in un’Europa di calore pre-sessantottino. Le recenti (e frequenti) fibrillazioni di piazza che hanno contrapposto in Italia, ed anche violentemente, i poveri di sempre – i bisognosi dei ceti medio-bassi da una parte e le forze di polizia dall’altra (che in gran parte da quegli stessi ceti provengono) non sono un buon segnale. La forza preponderante dei mezzi di comunicazione di massa del sistema, che a loro volta fanno sistema, mette a tacere quotidianamente la piazza con i suoi scritti ed i suoi infiniti dibattiti TV da mane a sera. Tra parole e immagini, a turno, personaggi di rango della politica italiana fanno finta di azzuffarsi nel tentativo di declamare antiche e superate recite di buon comportamento e di sana gestione delle reciproche responsabilità politico-istituzionali, nei fatti come nelle intenzioni. Ogni giorno se ne inventano una circa il futuro che ci aspetta. Dando, così, per scontato che saranno sempre e comunque loro a riprendere le redini di comando nel nostro Paese. Così sarà, c’è da scommetterci. Ma così dovrebbe anche essere a favore di una totalmente diversa gestione della politica e delle sue risorse infinite: ideali, materiali. Perché sotto le ceneri cova rabbiosa una protesta resa muta con la forza della paura e della prepotenza; non del convincimento sulla qualità delle idee quotidianamente propagandate. Perché a chiacchiere tutti sanno parlare bene di ciò che hanno fatto, fanno e faranno. Ma, nei fatti, il popolo, anche quello meno colto e più sprovveduto, non crede più a nessuno dei mille santoniche imperano nei palazzi che contano, sbraitando incessantemente per e pur di farvi ritorno. Lo ‘Stivale’ infetto di droga, di corruzione, di radicata ed impotente assuefazione alle forze predominanti al proprio interno – che puzzano di mafia nelle tante espressioni di violenza e di abuso che la caratterizzano – tracimain tutta la sua impotenza. Il sistema è marcio. E Monti lo sa. Lo ha detto, lo dice e lo ridice con poche ma sostanziali battute che, nella loro sintesi, si richiamano al merito, alla esigenza di cambiare mentalità, di ricreare un clima di fiducia ispirato ai valori. Il guaio è che, alle parole dovrebbero seguire i fatti. E i fatti sono o sarebbero quelli di ripulire dal basso dirigenze nazionali e locali e, quindi, mentalità. Un’operazione enorme, quasi impossibile atteso lo stato di putrefazione del sistema. La sfida riparte, dunque, dal basso. Dagli anni primi della vita delle nuove generazioni. A meno che una neorivoluzione francese non si scateni nelle piazze prima o poi, con conseguenze imprevedibili per tutti. Sarebbe sufficiente riascoltare le parole di quell’inno borghese in veste bianco, rosso e blu che tanta Rivoluzione fece nel drammatico ’89 francese di fine 18mo secolo per sentirsi accapponare la pelle e capire come l’era di un tempo nuovo dovrà per forza di cose cominciare. Con le buone o con le cattive!