Pensioni: attenzione al Pil

 

                                                    

Filippo Ispirato

Una notizia sembra sia passata del tutto inosservata in questi ultimi mesi: “l’ammontare della pensione futura sarà collegato alla crescita del paese”, come previsto dalla riforma Monti Fornero. La Riforma ha rivoluzionato il sistema pensionistico italiano e può essere brevemente riassunta in otto punti principali: 1. passaggio al sistema contributivo per tutti i lavoratori; 2. nuovi requisiti per la pensione di vecchiaia che nel 2018 sarà di 66 anni per tutti; 3. innalzamento dei requisiti per l’ottenimento della pensione anticipata; 4. revisione biennale dei requisiti minimi per il pensionamento legate alla speranza di vita; 5. modifica del meccanismo della totalizzazione (ovvero la somma di tutti i periodi di lavoro nel corso della propria vita); 6. taglio alle rivalutazioni delle pensioni più alte; 7. aumento della contribuzione per alcune tipologie di lavoratori autonomi; 8. incorporazione di Enpals ed Inpdap nell’Inps. La questione è stata sempre una nota dolente per tutti i Governi a partire dagli inizi degli anni ‘90 a causa dell’avvicinarsi alla pensione della generazione del Baby Boom e per il forte calo demografico a cui si è assistito a partire dagli anni 70 nel nostro paese. Mantenere il vecchio sistema retributivo per il quale, semplificando, si andava in quiescenza con una pensione pari alla media degli stipendi percepiti negli ultimi anni di lavoro era insostenibile, anche perché secondo questo schema le pensioni erano pagate con contributi versati da chi lavorava. Il passaggio al sistema contributivo, che lega la propria prestazione pensionistica a quanto si è versato durante tutto l’arco della propria vita lavorativa, ha rappresentato una possibile via di uscita al problema. Resta però da capire come si rivalutano nel tempo i contributi che il lavoratore dipendente versa durante gli anni con la nuova normativa approvata a Dicembre dell’anno scorso. L’ammontare dei contributi versati di anno in anno va rivaluta in base al tasso di inflazione e al Prodotto Interno Lordo, l’indicatore della ricchezza prodotta dal paese. Per essere più precisi, ogni anno i contributi verranno rivalutati in base ad un indice di capitalizzazione pari alla media degli ultimi cinque anni del Pil del paese: questo è il punto critico per i milioni di lavoratori coinvolti dalla riforma. Collegare il rendimento dei contributi versati oltre che al tasso di inflazione anche alla crescita del prodotto interno lordo in periodi come questi di recessione con il Pil in diminuzione potrebbe essere pericoloso: il rischio è quello di vedere diminuire i propri versamenti previdenziali. Cosa succederebbe se l’Italia e l’Unione Europea si ritrovassero nei prossimi anni in una situazione simile a quella del Giappone, alle prese da diversi anni con una crescita a tasso zero ed ora in recessione? La conseguenza per milioni di lavoratori sarebbe quella di ritrovarsi con una somma a disposizione per la loro pensione inferiore a quella versata nel corso della vita lavorativa. Un rischio purtroppo sottovalutato anche dai mass media, oltre che dalle istituzioni politiche economiche e sociali, al quale non è stato dato il giusto risalto per le conseguenze future che potrebbe comportare per diversi italiani che versano esclusivamente all’Inps i contributi previdenziali e che non dispongono attualmente di una pensione integrativa o di un fondo pensione.

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