Aldo Bianchini
SALERNO – La mattina del 6 novembre scorso scorrendo come al solito la mazzetta dei giornali sono rimasto di stucco nel leggere il nome della dirigente scolastica Caterina Cimino accoppiato alla parola “mobbing” che molto spesso viene evocato senza nemmeno sapere cosa sia esattamente. Qualche giorno prima, 2 novembre, avevo letto la vicenda molto brutta legata al nome di Antonella D’Annibale che per me era ed è il simbolo in positivo del giornalismo al femminile. Due donne, due eccellenti professioniste, persone perbene coinvolte in storie che definire “brutte” è come dire molto poco. Io non nascondo la testa sotto la sabbia, come fan tanti, anzi cercherò di analizzare a fondo queste due incredibili vicende, diverse e contrapposte, perché è giusto, soprattutto per il caso D’Annibale, togliere i veli ai fatti e le veline alle idee. Comincio dal caso che riguarda una donna di classe, come l’ho sempre reputata, che è anche un’ottima dirigente scolastica. Ho incontrato diverse volte la preside Cimino per motivi professionali legati al mio lavoro di giornalista, l’ho trovata sempre composta, raffinata, elegante, cortese, a volte austera e con un portamento da donna di classe, forse d’altri tempi. Era ed è a capo di un’organizzazione scolastica ai limiti della perfezione, molto aperta verso il mondo della comunicazione e verso le tecnologie avanzate. Mai uno sgarbo, mai la benché minima azione sconnessa rispetto al suo modo di vedere le cose, sempre al passo con i tempi; la Cimino non è molto simpatica al primo impatto, del resto chi è professionale non è subito simpatico, e la Cimino è estremamente professionale sul lavoro così com’è estremamente aperta, disponibile e cortese nelle manifestazioni pubbliche appena fuori dal mondo scolastico. Se la incontri la seconda volta anche il suo volto, dallo sguardo ieratico, diventa più sorridente ed accetta volentieri il dialogo e la discussione costruttiva. Insomma la Cimino è una donna vera con tutti gli attributi che una donna in carriera può e deve avere. Ha sempre dimostrato una assoluta e totale sensibilità verso gli studenti e i giovani meno abbienti, ha ideato e diretto corsi speciali per l’inserimento lavorativo di “ragazzi disadattati” del centro storico, figli di famiglie anche con una certa storia malavitosa alle spalle. Sono rimasto di stucco, molto turbato, quando ho letto del suo presunto tentativo di mobbing nei confronti di una sua professoressa. Nella mia ormai lunga attività di giornalista mi sono sempre schierato su fatti e personaggi che potevano rappresentare veri e propri “casi simbolici” per la ricaduta in termini di “etica comportamentale” che essi potevano avere sul piano dell’immaginario collettivo. Non ho mai avuto timore di sbagliare, e tante volte ho sbagliato, ma l’ho fatto sempre in buona fede. Dunque anche stavolta mi schiero in favore della dirigente scolastica Caterina Cimino dicendo che “non credo assolutamente” a tutta la storia raccontata dalla professoressa che la preside avrebbe vessato nel lontano 2008. Non ci credo perché un’azione del genere non può appartenere ad una persona assolutamente specchiata come la Cimino. Probabilmente il suo temperamento forte, le sue eccezionali doti dirigenziali, la sua voglia di pulizia e di legalità hanno prodotto una “cattiva comunicazione” tanto da causare nella controparte un senso di disagio e di conseguente persecuzione. Il rispetto delle regole crea a volte barriere insormontabili a dispetto del dialogo costruttivo. Da qui a parlare di mobbing, o di sensazioni spiacevoli per lo stato di salute, mi sembra davvero che il passo sia molto lungo. Ho apprezzato molto la lettera aperta che Giuseppina Giliberti ha inviato al quotidiano Roma-Cronaca (con la firma di tanti altri dipendenti e colleghi), è piena di vera solidarietà nei confronti della preside. La Giliberti, però me lo consenta, ha un po’ esagerato con i suoi giudizi sferzanti nei confronti della collega Viviana De Vita che non intendo difendere per spirito di corpo. La De Vita ha, forse, commesso un solo errore, cioè quello di non aver approfondito la notizia che, comunque, andava data così come è stata data. Non si indigni più di tanto, gentile professoressa, perché l’approfondimento è un mestiere che, probabilmente, il giornalismo salernitano non conosce affatto. Non resta che aspettare, e io non dico mai “con fiducia”, la giustizia terrena che non è mai giusta e arriva sempre in ritardo.
Conosco da tanto tempo la preside Cimino è stata una mia insegnante ma la conosco fin da bambina. Anche io avevo un po’, come dire, di difficoltà a relazionarmi con lei proprio per la sua serietà, in tutto. Adesso che sono una donna ho capito che mi ha dato tantissimo sotto ogni aspetto. La stimo e l’apprezzo in ogni suo comportamento e capisco che nel suo ruolo deve mantenere “le distanze” è una donna eccezionale buona e sensibile. La giustizia le darà ragione.
Maria Cristina Vignola.