SALERNO – Un noto politico detenuto presso nelle carceri di Fuorni, agli inizi del mese di luglio del 1993, scrisse al Presidente della Repubblica, on. Oscar Luigi Scalfaro, per denunciare la “casta salernitana” rea secondo lui di tutti i guai giudiziari abbattutisi sulla politica nostrana. Probabilmente lo scritto era forzato dalla sua detenzione ma la realtà non era molto lontana dalle cose messe nero su bianco. Per la cronaca quel politico, che la casta aveva additato come l’artefice di tutti gli imbrogli, fu assolto con formula piena diventando rapidamente il primo caso in Italia di un indagato che diventa “parte lesa”. Ma cosa era la “casta” delle grandi famiglie salernitane e cosa è tuttora ? Come in molte altre cose la nostra città, Salerno, si distingue anche per quanto attiene la connotazione della cosiddetta “CASTA”. La casta di casa nostra è un po’ anomala e può essere catalogata in due elencazioni specifiche e raggruppanti la “casta nobiliare” e la “casta proletaria” (in quanto espressione di chiara origine popolare!!). Della prima non se ne parla quasi più a causa della assoluta decadenza dei titoli nobiliari che i diretti interessati, dopo la perdita secca dal punto di vista del danaro o della ricchezza immobiliare, non hanno saputo gestire e trasmettere alle nuove generazioni degli eredi validi. Di quella casta è rimasto qualche residuato bellico ancora abbarbicato ad un tavolo di ramino nei pochissimi “salotti nobiliari” ormai alla deriva. Ricordo sempre, ed anche con rispetto, il compianto “barone Santamaria” vero mecenate dello sport salernitano e non solo. Da solo fece smantellare il cimitero di Piazza Vestuti, regalò al comune una grande fetta di terreno e consentì l’edificazione dello stadio che ancora oggi ammiriamo al centro della città per la sua prorompente imponenza architettonica ed urbanistica. Il barone era solito fare jogging nelle prime ore del mattino e fu l’antesignano di questa disciplina che oggi, grazie anche al suo insegnamento ed alla sua abnegazione, praticano in tanti. A mio avviso è stato l’ultimo degno rappresentante di quella “casta nobiliare” non arrogante, assolutamente umile e sempre ben disposta nei confronti del prossimo. Sul finire degli anni ’50 ed agli inizi degli anni ’60 si è fatta largo, prima lentamente e poi con spintoni sempre più forti, la “casta proletaria” o presunta tale. Su tutti, senza voler far torto a nessuno, arrivarono i Rizzo, i Pezzullo, gli Amato, i Mastromartino, gli Adinolfi, i Gravagnuolo, gli Schiavo, gli Spirito, i D’Amico, i Cavaliere, gli Oliva, i Grimaldi, i Rinaldi, i Del Mese, i De Martino, i Traci, i Tortorella e i Lombardi, per citarne solo alcuni. I primi (Rizzo, ndr!!), almeno per me, hanno simboleggiato il buco nero della casta proletaria nel senso che quella famiglia è stata la rappresentazione più schematica dell’ascesa e della caduta della “CASTA PROLETARIA” arricchitasi in pochissimo tempo grazie a delle fortuite coincidenze (imprenditoriali e politiche) e ridotta sul lastrico in men che non si dica. Tutto bruciato in velocità, come dire dalla “cucchiara” alla “ricchezza” e poi alla “polvere” nel breve volgere di un paio di generazioni. Tutto sembrava alla portata dei figli del mitico Tobia: belle donne, viaggi di piacere, vita notturna, gioco d’azzardo e casinò, fino a La Vallette di Malta per ripiombare nell’oscurità più fitta. Gli ultimi, (Lombardi ed altri ndr!!), sono invece l’esempio virtuoso di come i sacrifici del capostipite possano riversarsi in positivo sui discendenti per la continuazione della specie. Una specie certamente positiva anche nel rapporto con gli altri e con il prossimo. Mai una sbavatura di arroganza, sempre disponibilità all’ascolto, al passo con la serenità e severità delle scelte imprenditoriali nell’ambito di una progettualità anche di natura tecnologica e mediatica che, sicuramente, il capostipite non aveva e non poteva avere. In mezzo, ovviamente, ci sono anche altri pochi esempi di rigoroso e sapiente sviluppo delle imprese familiari. Il resto appartiene tutto a quella pletora di imprenditori creati dal nulla, senza sacrifici e progettualità, grazie soltanto ai “benefit” della politica ammaliante, ma perdente, che foraggiò tutto e tutti almeno fino agli inizi degli anni ’90. Era l’epoca in cui la CASTA okkupava le ville di Sala Abbagnano e guardava la Città dall’alto verso il basso in segno di dominio assoluto, con autorità ma senza alcuna autorevolezza. La mattina scendevano a frotte i signori della casta in potenti e lussuose autovetture, le signore della casta a bordo dei mitici fuoristrada (non c’erano ancora i suv), spesso con autista, facevano una breve sosta davanti al supermercato dei vip “Camera” (anche quest’ultimo chiuso per sempre dopo i falsi fasti con la casta !!) per compiere l’ordinazione quotidiana della spesa senza risparmi, bloccavano in maniera indecente il traffico e, poi, via verso destinazioni pseudo lavorative o di fantomatici impegni di società. Con tangentopoli iniziò la caduta di molti “castelli di sabbia”, a volte anche in maniera rumorosa. In molti (non tutti!!) furono costretti a lasciare Sala Abbagnano per il più abbordabile Parco Arbostella o per siti sparsi per la Città. In quegli anni i vari rappresentanti di quella categoria non seppero, o non vollero, neppure difendere gli artefici della politica che aveva contribuito in gran misura alla costruzione della loro ricchezza. Anzi in alcuni casi ci fu una devastante coincidenza di interessi, dimostratasi poi nefasta, con lo strapotere giudiziario che travolse anche molti di loro. Ebbero anche la capacità di perdere, se non il primato, almeno la presunta uguaglianza fino a diventare succubi e sudditi della politica degli ultimi vent’anni. Peggio per loro, hanno dilapidato decenni di sacrifici e di idee progettuali. Piano piano, con ovattato silenzio, quelle che erano state le mitiche residenze del “bel mondo salernitano” furono occupate (senza le K!!) dai figli delle chiancarelle, alcuni ovviamente, diventati nel frattempo noti e stimati professionisti, che ricondussero la collina alla reale dimensione di “zona residenziale” più accogliente e più aperta anche alle esigenze di tutta la città. La casta proletaria ha pagato, comunque, anche dei prezzi altissimi sull’altare del cosiddetto “status simbol” degli anni ’80 che aveva creato dei falsi miti. Per tutti ricordo, con grande dolore, le morti premature di Gigi Pezzullo, Giancarlo Del Mese, Mimmo Amato ed altri. Probabilmente la “casta proletaria” con quelle morti sciagurate ha perso i suoi gioielli, i suoi eredi migliori, quelli che molto verosimilmente avrebbero assicurato nuova linfa vitale ad una categoria in via di estinzione. Nell’immaginario collettivo della gente la “casta proletaria” viene forse ricordata più per le sue avventure da sogno, per le sue notti brave, per i suoi intrecci amorosi dal sapore texano e per la sua mai celata arroganza dall’alto di una ricchezza accumulata senza sacrifici, che per le doti umane e capacità imprenditoriali che, comunque, in qualche caso non sono mancate. La “dolce vita notturna” ha, poi, quasi marchiato a fuoco l’intera categoria in una città molto provinciale, soltanto all’apparenza aperta e progressista ma in realtà profondamente bigotta alla luce del sole e fondamentalmente e spregiudicatamente trasgressiva e permissiva nel buio della notte. Un esempio, in particolare, mi ha colpito nel corso degli ultimi decenni. Una figlia della casta, una splendida ragazza che si innamora di un bel ragazzo ma delinquente, e lo ama fino alla follia, fino alle estreme conseguenze, per lui rinuncia a tutto ed anche alla vita da sogno che aveva comunque assaporato, un amore che è andato oltre la morte del giovane e al di là della vita, quando tutta Salerno fu tappezzata di manifesti con la scritta “Ti Amo”. Un esempio di grande amore che è andato al di là di ogni immaginazione e, soprattutto, del finto moralismo della città, per questo da ricordare e da rispettare, sempre e comunque. Per oggi mi fermo qui, nella prossima puntata parlerò dei “figli delle chiancarelle” e poi rapidamente arrivare ai nostri giorni con uno degli scandali più clamorosi: la costruzione dei parcheggi interrati sotto Piazza Cavour. Ne leggerete di tutti i colori.
direttore: Aldo Bianchini