Aldo Bianchini
SALERNO – Sul finire degli anni ’80, e soprattutto agli inizi degli anni ’90, in Città e nell’intera provincia di Salerno si respirava un clima strano e teso, quasi d’attesa per quello che doveva e poteva accadere. Lo scontro, senza esclusione di colpi, tra le “grandi famiglie salernitane” era sotto gli occhi di tutti e si aspettava, da un momento all’altro, l’irruzione della magistratura. I segnali, nel corso del 1990, c’erano stati tutti, a Salerno erano arrivati gli uomini del Secit (il servizio segreto della GdF) e poco prima di quell’anno era stata sciolta la sede del SISDE (servizi segreti del governo) per fare spazio all’azione giudiziaria. Una curiosità: l’ultimo capo del Sisde di Salerno rimane storicamente il cap. Antonio Salzano, fratello del politico Aniello già sindaco di Salerno. Lentamente monta l’azione del pool “mani pulite” di Salerno costituito dai magistrati Vito Di Nicola, Luigi D’Alessio e Michelangelo Russo, i primi due ancora oggi in servizio a Salerno. Insomma agli inizi degli anni ’90 in Città e in provincia si respirava la stessa aria pesante e minacciosa che si respira da qualche tempo, verosimilmente dal luglio del 2011 epoca in cui è stato arrestato l’ex sindaco di Pagani Alberico Gambino, su tutto il territorio provinciale. Anche oggi un po’ tutti aspettano con ansia la travolgente azione della magistratura rappresentata, oggi più di allora, soprattutto da tre PM della DDA di Salerno: Vincenzo Montemurro, Vincenzo Senatore e Rosa Volpe. Ma torniamo a vent’anni fa. Il primo, vero, serio ed anche temibile segno del cambiamento lo danno i magistrati del pool la mattina del 16 aprile 1992, dieci giorni dopo le elezioni politiche che non hanno cambiato il quadro politico parlamentare. Gli uomini della Guardia di Finanza sequestrano e sigillano gli studi tecnici degli ingegneri Raffaele Galdi e Franco Amatucci, i cosiddetti “due compassi d’oro”, molto vicini all’allora ministro per le aree urbane Carmelo Conte ma interessati anche alle società di progettazione degli uomini di Paolo Cirino Pomicino, potente ministro democristiano e plenipotenziario di Giulio Andreotti per la Campania, e del suo tecnico di fiducia Enzo Maria Greco. Ma i tre magistrati del pool (con l’aggiunta di Antonio Scarpa) non si fermano e nel mese di maggio partono i primi ordini di custodia cautelare in carcere. Sembra un’operazione di routine, nessuno sa che con l’arresto di Francesco Paolo Volpe e Giacomo Mazzotti (rispettivamente già segretario comunale e già sindaco di Montecorvino Pugliano) il pool sta affilando le lame delle sue inchieste. Quasi contemporaneamente finiscono in carcere anche Luigi Cirillo di Castel San Giorgio e Rocco Botta di Salerno e da qui i magistrati arrivano alla Commissione Edilizia del comune di Salerno. Un’altra curiosità: quest’ultimo nome (Rocco Botta) risulta, oggi, anche tra i nomi degli indagati della famosa inchiesta “Due Torri” condotta da Montemurro e la Volpe. Corsi e ricorsi storici ? Chissà. Il 23 luglio 1992 i magistrati del pool arrestano Pasquale Iuzzolino (sindaco democristiano di Sicignano degli Alburni), Giuseppe Parente (sindaco pdiessino di Bellosguardo), Pasquale Silenzio (socialista, già sindaco di Eboli), Mario Inglese (ingegnere capo della Fondovalle Calore), Raffaele Galdi (direttore dei lavori della Fondovalle) e Vittorio Zoldan (titolare di una delle tre imprese ATI che avevano appaltato i lavori della Fondovalle). Parte così, con apparente semplicità, la tangentopoli salernitana che sconvolgerà imperi economici ed assetti politici che erano ritenuti intoccabili. Ma ecco come l’allora GIP Mariano De Luca, nel rigettare la richiesta di arresti domiciliari per l’ing. Galdi detenuto a Fuorni, nell’ordinanza del 21 sett. 1992, descrive il clima e l’intreccio politica-istituzioni-malaffare: <<Non può, dunque, sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe di istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Lui elementi probatori fin qui acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza … La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta>>. Ho spesso contrastato, in questi anni, la ricostruzione del Gip De Luca affermando che non poteva debordare dalla giustizia commutativa (di sua stretta competenza) per fare irruzione in quella distributiva che è propria della politica. Col senno di poi devo ammettere che, probabilmente, aveva ragione perché a distanza di vent’anni da quell’ordinanza rivedo le stesse cose, le stesse trame, gli stessi accordi, gli stessi intrecci tra politica-istituzioni-imprenditoria e malaffare. Non è cambiato nulla, purtroppo.