FRANCOFORTE – Tra i saloni sconfinati della Fiera Internazionale del Libro di Francoforte, perfettamente collegati tra loro e, quindi, facilmente raggiungibili grazie ad un sistema viario mobile interno di tutto rispetto, tra una pausa e l’altra del nostro lavoro a base di würstel e birra, la butti lì e chiedi al collega tedesco di turno: “Ma qual è, attualmente, il tasso di disoccupazione in Germania?”. Mi guarda stupito: “Noi non abbiamo il problema della disoccupazione, bensì l’esatto contrario!” Detto in maniera spicciola, oggi come oggi, per garantire gli alti tassi di produzione, la Germania è ‘costretta’ addirittura ad ‘importare’ mano d’opera e professionalità, garantendo il posto di lavoro a migliaia di ‘figli poveri’ d’Europa o del Terzo e Quarto Mondo. Sfruttamento sociale? Forse sì, anzi no; atteso che, per quel poco che abbiamo visto, intere categorie professionali di basso profilo (tassisti, dipendenti alberghieri di rango inferiore, personale delle grandi catene di supermercato, ecc.) ostentano la propria origine in virtù del colore scuro della pelle, ma nel pieno rispetto delle regole del lavoro. Bisogna riconoscere, inoltre, che, anche a livelli professionalmente più elevati dei settori della dipendenza pubblico-privato, quel colore si impone a vista d’occhio. E, poi, il mare di automobili che si incrociano e si rincorrono, assumono le vesti di vere e proprie corazzate. Quasi tutte di casa madre, quasi tutte di grossa cilindrata, con più di una variante asiatica e qualcuna, minima, franco o italo-europea. Un benessere che tocchi con mano, ma che nessuno ostenta. L’abbigliamento è casual un po’ per tutti, eppure salgono e scendono dalle loro ammiraglie come tante 500 in Italia. Il silenzio è dominante: nelle strade come nei locali, su tutto e su tutti domina il lavoro. Del resto, basti osservare il look sempre uguale (tranne che nel colore dei suoi poco arditi ‘giacchini’) della Cancelliera Angela Merkel per rifilare l’ostentazione dell’apparenza in ultima fila. L’indimenticabile Frau Anastasio, mai troppo rimpianta e cara insegnante di tedesco, ce lo diceva sempre agli esordi degli anni ‘60: “Per anni dopo la guerra, ragazzi, abbiamo bevuto e ancora oggi beviamo il caffè senza zucchero!” E’ da quelle ceneri di popolo, dilaniato dalla assurda e mai troppo esecrabile follia hitleriana e razzista, che pure sono tornati a comandare. Il nostro destino politico post-bellico ci è stato, invece, molto più favorevole. La sterzata anti-hitleriana dell’ultima ora ci ha fatto pagare un prezzo meno duro: gli aiuti economici della prima ora, la ripresa, l’investimento della tecnologia – lavatrici, televisori e lavastoviglie sin dai primi anni ’50 – un rapido progresso economico e sociale, pur nel pieno di una rivoluzione giovanile e culturale degli anni ’60 di forte rottura con il passato e le conseguenti generazioni postbelliche. In poche parole, il benessere per tutti o quasi del cosiddetto miracolo economico italiano. Ma un benessere dilapidato lentamente nel tempo a venire dal cancro di una democrazia malata, sempre più corrosa, incontrollabile ed incontrollata nelle sue forme ed espressioni di potere politico rozzo ed arrogante, che, pur nella molteplicità dei suoi colori e dei suoi distinguo, si è sempre concentrato alla grande ed all’unanimità intorno alla Sacra Mazzetta Unita. Il salto storico è notevole e non possiamo abusare della cortesia del direttore di questo giornale, dilungandoci tra esempi infiniti sotto gli occhi di tutti. E’ sufficiente ripercorrere a ritroso il cinquantennio che ci precede, per comprendere come sia stata costante e progressiva l’evoluzione del carcinoma del potere politico-istituzionale insinuatosi negli infiniti gangli della società e, soprattutto, della sua rappresentanza ufficiosa interna alla pubblica amministrazione. Senza per questo togliere i meriti dovuti ai tanti che, dai virus infetti della corruzione dei propri partiti, sono riusciti comunque a rimanere indenni. Non per ignoranza, certo del fenomeno, ma per oggettiva onestà individuale. Il che non alleggerisce le loro responsabilità morali, nulla facendo per spezzare drasticamente un fenomeno che ha consegnato l’Italia nelle mani della vera attuale potenza politico-economico-criminale: la Mafia. Ora che siamo alla frutta, i vecchi gendarmi dei partiti che in giovane età si sono azzannati nelle fiera volontà e orgoglio di ostentare a chiacchiere la diversificazione della propria origine e provenienza politica, in termini culturali, storici e sociali, si ritrovano, volenti o nolenti, accomunati nel guazzabuglio della corruzione, per i tanti nomi e cognomi che indistintamente gli appartengono perché purtroppo accomunati nell’unica parola su cui gli italiani concordano all’unanimità: corruzione. “Via i ladri, i cafoni e gli ignoranti!” si sente urlare in questi giorni dai rinnovatori o presunti tali. E’ vero, la torta del potere si è talmente estesa che ci mangiano un po’ tutti. E da tempo. La democrazia non è (e non deve essere) discriminazione sociale. Ma non può e non deve essere strumentalizzata dai quei guappi di potere che, pur di evitare ostacoli sui proprio percorsi di comando e pur di avere un esercito di accoliti a tutto accondiscendenti, si lasciano circondare da un manipoli di ignoranti, ai quali non pare vero di potere intascare le mai troppo ‘leggere’ prebende di stato. Chi votare, dunque, alle prossime elezioni? Raccomandiamoci alla saggezza. E, visto che le inevitabili forbici montiane hanno messo alle corde le classi soprattutto deboli del paese per un pianto collettivo e a lungo termine, meglio votare chi ci fa ridere piuttosto chi ci fa piangere.
direttore: Aldo Bianchini