SALERNO – Nella precedente puntata abbiamo visto quali erano state le scelte politiche di fondo verso una “città diffusa” attraverso una progettualità urbanistica e stradale senza precedenti nella storia di questa Provincia e, forse, di gran parte del territorio nazionale. Abbiamo anche visto come le famiglie della “casta proletaria” si diedero aspra battaglia per la conquista di spazi in quella progettualità “laica e di sinistra” partorita dal PSI di Conte ma condivisa anche da una parte della DC, quella che faceva capo a Del Mese. Tutti e due inevitabilmente schierati contro la politica e le ramificazioni del Gran Visir di Nusco (Ciriaco De Mita); all’epoca era impresa assai ardua soltanto dire qualcosa di diverso da quello che era il suo verbo. E fu proprio De Mita (fonte “Sasso o Coltello”, il libro di Carmelo Conte, pagg. 169-172) che con l’operazione denominata “La campagna dei quattro cantoni” scatenò una guerra senza precedenti con presumibile intervento anche dei Servizi Segreti che misero a ferro e fuoco la Città e la provincia in un’azione coordinata anche dallo Scico (il servizio speciale della Finanza) e dai super ispettori del fisco. Non c’era giorno che “Il Mattino” di Pasquale Nonno non sparasse ad alzo zero contro Conte, Del mese ed i socialisti e democristiani in genere. La battaglia intestina e senza esclusione di colpi tra le grandi famiglie diede inevitabilmente vita alla cosiddetta “tangentopoli salernitana” che sconvolse non solo il quadro politico ma anche quello imprenditoriale, culturale e malavitoso. In questo clima di “battaglia finale” si inserì intelligentemente Vincenzo De Luca che -avendo marginalmente amministrato il “progetto laico e di sinistra” (del PSI e parte della DC) come vicesindaco e come assessore nelle giunte Giordano- conosceva benissimo il funzionamento del “sistema di potere” e tutte le sue eventuali derive. E non solo, De Luca conosceva e conosce benissimo i “misteriosi gangli del potere” innanzitutto per la sua lunga militanza di partito nella veste di segretario provinciale storico del PCI. Nel momento di maggiore pressione giudiziaria (diretta essenzialmente contro il PSI e la DC sia a livello nazionale che locale) De Luca chiamò a se tutte la famiglie della “casta proletaria” dissidente, ed anche quelli che cercavano di fuggire dal sistema laico e di sinistra, è costruì quell’apparato di potere che regge ancora oggi. Il passaggio nodale si ebbe venerdì 3 dicembre 1993 quando presso il ristorante hotel “La lucertola” di Vietri sul Mare si riunirono politici, imprenditori ed anche qualche magistrato; mancavano due giorni al primo ballottaggio elettorale della storia di Salerno e la città doveva scegliere tra Vincenzo De Luca e Pino Acocella e bisognava capire con chi schierarsi. Vinse la linea De Luca nonostante proprio la mattina delle elezioni (5 dicembre 1993) molti di quegli imprenditori riunitisi a Vietri furono arrestati. Ma cosa accadde esattamente nel corso di quella lunga ed interminabile giornata elettorale ? <<<Il 5 dicembre, dopo il ballottaggio con Pino Acocella, Vincenzo de Luca viene eletto sindaco di Salerno. Quella stessa mattina del ballottaggio, però, la città viene scossa da un terremoto giudiziario senza precedenti: Alberto Schiavo (la gola profonda della tangentopoli), Luigi Cardito (avvocato, imprenditore, presidente dell’ACES), Aldo Linguiti (funzionario del CIPE), Francesco Scelza, Pasquale Pepe, Antonio Angelo Cavallo (segretario comunale di Ricigliano),Cosimo Chechile, Giovanni Gentile, Umberto Cicchella e di nuovo Salvatore Torsiello (che è già in carcere fin dal 19 luglio precedente). Il blitz della Guardia di Finanza e dei Carabinieri del 5 dicembre 1993 è, forse, l’ultimo atto della tangentopoli salernitana che incomincia a sgonfiarsi sotto i colpi delle assoluzioni che mano a mano arrivano dai vari processi. Gli arresti del 5 dicembre 93 rimangono emblematici anche per una serie di altri motivi e danno una chiave di lettura nuova ed inedita dell’opera svolta dai magistrati del pool mani pulite di Salerno. Davvero vogliono sapere tutto e subito, e fino a che punto, e per tutte le responsabilità in ogni direzione ? La domanda rimane senza risposta fino ai giorni nostri. Un dubbio quegli arresti, comunque, lo hanno tramandato. Tra l’ordine di arresto e gli arresti passano ben dieci giorni, un tempo immenso. “Perché (si disse…) nessuno aveva voglia di inquinare la campagna elettorale del ballottaggio tra De Luca e Acocella”. I dubbi, però, restano intatti e lasciano pensare anche a probabili accordi politico-giudiziario-imprenditoriali. La verità non lo sapremo mai e tangentopoli, forse, si avvia verso il suo inesorabile crepuscolo proprio sulle ceneri di quei clamorosi arresti>>>. E’ sotto gli occhi di tutti, quindi è storia recente, che anche i due grandi big politici Conte e Del Mese, ormai travolti da tangentopoli, cercarono e cercano di rientrare nel sistema-deluchiano che è passato indenne attraverso alcune bufere giudiziarie resistendo più di tutti gli altri sistemi precedenti o contemporanei. De Luca, però, per colpire l’opinione pubblica arrabbiata contro il “sistema laico e di sinistra” (un po’ come accade oggi per il sistema PdL-Fiorito dopo i noti scandali) rigirò le carte sul banco e lanciò la “città compatta” al posto della “città diffusa” che tanti guai giudiziari aveva prodotto. D’incanto cambiano tutti idea, in primis Oriol Bohigas con le APU, seguito dal responsabile dell’ufficio di piano Ercole Di Filippo e da tutti quegli architetti e ingegneri (oltre 120 personaggi – vedasi elenco compilato dalla giunta Giordano) sopravvissuti all’epoca dei “due compassi d’oro” (Galdi e Amatucci). La cosa più strana di quell’epoca fu che l’imprenditore Cosimo Chechile (arrestato la mattina del 5 dicembre 1993) divenne uno degli sponsor più convinti del novello sindaco di Salerno. Insomma accadde una cosa contraria ad ogni logica politica che vuole l’imprenditoria inquisita molto lontana dai centri nevralgici del potere. Nel breve volgere di alcuni mesi si parlò soltanto di “città compatta”, fu delocalizzato il cementificio per inserire al suo posto una mega struttura cementizia, fu accantonata l’ipotesi progettuale della cittadella giudiziaria in zona Arechi e fu trasferita in pieno centro cittadino grazie anche all’accordo con le lobbies degli avvocati e dei magistrati, fu stravolto il progetto della lungoirno, non si parlò più del prolungamento della tangenziale, dell’Aversana, e della Fondovalle Calore (madre di tutte le tangenti ?). Insomma facendo leva su un assunto urbanistico fuori da ogni logica, prima si cancellò la delibera n. 71/89 facendola decadere deliberatamente e poi si accreditò la corrente di pensiero secondo cui gli “standard urbanistici a verde” potevano essere conteggiati come urbani anche se, ad esempio, si trovavano nella zona di Case Rosse o di Baronissi anziché in ogni quartiere della città, come era giusto che fosse. Ma era la linea vincente e nessuno, soprintendenza e magistratura compresa, seppero o vollero dire nulla. Del resto anche il mitico catalano Bohigas aveva letteralmente e inspiegabilmente cambiato pensiero passando dalla città diffusa a quella compatta grazie all’invenzione delle APU molto funzionali alla necessità di intervenire senza il PRG o il PUC. Cominciò così l’era della cementificazione selvaggia di una città nata male e costruita peggio. Ma con quel cambiamento di pensiero e con lo spostamento verso questo nuovo progetto delle famiglie della “casta proletaria” prende vita anche quella che passerà alla storia come la grande “epopea deluchiana”. Nelle prossime puntate Vi porterò alla scoperta del “clima torrido” di quei giorni parlandovi della “casta proletaria” e dell’azione dei “servizi segreti”.
direttore: Aldo Bianchini
Caro Aldo, ricostruzione opinabile che, per certi aspetti, fa torto alla storia.
Il piano Bohigas – quello vero, del 2003 – è stato completamente stravolto, finanche nei suoi principi ispiratori. Basterebbe dare uno sguardo alle tavole, per capire che, nel 2003, non erano previste concentrazioni di Edilizia Residenziale Pubblica, i quartieri ghetto poi varati con il PUC del 2005. Né era prevista l’espansione urbana nella zona litoranea orientale, né, ancora, si prevedeva il dilagare dell’abitato sulle coline e in zone di pregio rurale e paesistico. Se qualcuno, per semplice curiosità, mettesse a confronto le possibilità edificatorie previste nel 2003 con quelle del 2005, capirebbe facilmente chi si è avvantaggiato e dovrebbe chiedersi “perché”. Un esempio? Com’è nel mio stile, ti faccio nomi e cognomi. Per la riconversione delle MCM di Lettieri, il PRG di Bohigas prevedeva un indice di 3,2 metri cubi al metro quadro; la variante urbanistica e poi il PUC hanno previsto un indice di 7,4 metri cubi al metro quadro. Capita la differenza? E così anche per diversi altri complessi industriali decotti, Amato incluso.
Il torto principale di Bohigas è stato quello di “firmare”, subendo il pressing degli amministratori dell’epoca, il piano taroccato del 2005. La sua imperdonabile colpa è stata quella di non “ritirare” la propria firma, come, fece Campos Venuti col piano di Roma.
Se davvero si fossero seguite le sue indicazioni, Salerno non avrebbe subito l’aggressione cementifera attualmente in atto. E’ stata l’ennesima occasione persa. Io in quel piano ci credevo e per difenderlo mi dimisi.