Aldo Bianchini
SALERNO – Da credente penso che San Matteo, dopo tantissimi anni, debba imprimere un cambiamento radicale al suo percorso. Non alludo alla “statua”, simbolo pagano contestualizzato in una fede cattolica, ma a tutto quello che dietro la statua si muove, a cominciare dall’arcivescovo S.E. Mons. Luigi Moretti. Deve cambiare percorso perché ormai quella ritualità e quella ripetitività esasperante ed esasperata hanno dato a tutto il movimento che si svolge intorno al Santo Patrono di Salerno una certa aria di insufficienza. Prendo spunto dalle cerimonie che nei decenni, se non nei secoli, sono fiorite intorno al famoso “braccio di San Matteo” che la Chiesa si ostina a portare in giro per la Città facendo tappa nelle carceri, nelle varie associazioni delle categorie professionali e via dicendo. Ogni anno l’arcivescovo, e prima di Moretti anche tutti i suoi predecessori, a pronunciare sempre le stesse parole, sempre le stesse omelie in un rituale ormai stanco e privo di presa sulle coscienze dei fedeli. “Se vogliamo costruire una civiltà della speranza dobbiamo combattere i mali che la minacciano. –ha detto Moretti ai carcerati di Fuorni- Non dobbiamo arrenderci, non imbavagliamo il Vangelo”. Qualche anno fa le stesse parole suonavano come un messaggio di speranza e di riscatto umano, personale e sociale. Era almeno un auspicio, ma così non è stato; difatti le ragioni e le occasioni in cui sperare sono finite mestamente nel calderone generale di una società che corre a cento all’ora e che ha lasciato uomini e donne reclusi in una sorta di “discarica umana” a vivere come animali. Lo hanno denunciato gli stessi carcerati dopo aver ascoltato le parole, le stesse parole, pronunciate dai tanti arcivescovi che si sono susseguiti nelle visite presso l’istituto di pena salernitano. Il dono di un rosario e di un libro di preghiera, gesto apprezzabilissimo e di alto profilo morale e spirituale, svanisce dopo pochi minuti nel momento in cui il carcerato ritorna alla normalità ed anche alla ritualità della sua prigionia, senza speranza. Ecco perché San Matteo deve cambiare percorso, abitudini e tradizioni; l’impatto con il trascinante mondo globale e violento e per certi versi anche micidiale, a tutto danno della credibilità della stanca ritualità. E’ vero che questo Arcivescovo è capace di trasmettere con semplicità e senza formalismi la “sua vicinanza alla loro sofferenza facendo intravedere un barlume di speranza per il futuro” ma i carcerati vedono aprirsi davanti a loro, ogni giorno di più, un tunnel che li porta sempre più lontani da chi sta fuori fino al punto di essere dimenticati. Che il “pastore della Chiesa salernitana” riesca a trasformare una terra abbandonata in un’oasi non basta, assolutamente non basta perché quell’oasi scompare subito dalla vista dei carcerati che crederanno di aver avuto soltanto un miraggio. Ed è ancora peggio, molto peggio dover riprendere da soli e nella solitudine un cammino difficilissimo che spesso li conduce alla deriva totale senza possibilità di rientrare nella società civile a pieno titolo. Certo hanno sbagliato, ma sono lì per espiare e per imparare anche se finiscono soltanto per pagare, in maniera assolutamente dannosa e controproducente, le proprie colpe. Il cappellano del carcere ha detto che servono volontari per trasformare quell’ora di speranza regalata dal Vescovo in una sorta di palestra di vita. E’ d’uopo, quindi, che San Matteo cambi percorso per ritornare ad essere più credibile di prima.
Egregio Direttore, mi complimento per il Suo stile e vorrei parlare del modo di fare informazione a Salerno. Ieri, nell’incontro tra S.E. Mons. Moretti e la Stampa salernitana, dove erano le domande? E’ stato chiesto all’Arcivescovo Moretti lo stato della Diocesi? E’ stato chiesto come mai i dipendenti della Colonia S.Giuseppe non percepiscono da Maggio lo stipendio? Anche quelle sono famiglie…………… E’ stato chiesto lo stato di Telediocesi, delle Congreghe, del Seminario o del Tribunale Ecclesiastico?. Nulla.
Pasinato
Il messaggio(percorso) è perenne, il suo valore è assoluto per un Cattolico, le strade per attualizzarlo è relativo.
Tuttavia la sua relatività non può transigere dalla VERITà.
In questa “VERITà” si potrà trovare anche la strada per la redenzione di chi sbaglia.
Il carcere è un luogo di sofferenza e non può che essere tale.
Il carcere dovrebbe essere il luogo dove il delinquente deve espiare la sua giusta pena per remunerare la società del male che gli ha fatto.
Questi luoghi ameni non possono essere un peso per la società, devono essere luoghi ove chi ha sbagliato venga “educato”alla legalità e posto in condizione di essere auto sufficiente nel suo mantenersi.
Una volta espiata la pena, la società dovrebbe mettere in condizione tutti di poter vivere in armonia.
Ecco dott. Bianchini, a mio giudizio la strada della “VERITà” è nel riformare la società, rifondandola sull’ ONESTà, il MERITO, la GIUSTIZIA.
Poichè se non c’è Verità, non ci può essere Giustizia.
in bocca al lupo