Alfonso D’Alessio
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti”. Ecco come San Matteo nel capitolo 7 del suo Vangelo invita alla prudenza nel trattare le cose sante. A prima vista questo “detto” di Gesù sembra strano alla sensibilità del lettore odierno. Può rappresentare un vero enigma. Ma si tratta di un modo di dire, di un linguaggio semitico che chiede di essere interpretato. Non è questo il luogo per fare ciò, ma questo inciso del Vangelo mi fa pensare al cardinale Carlo Maria Martini ritornato alla casa del Padre il 31 agosto. La corsa ad accaparrarsene l’eredità culturale, oppure a far dire al cardinale, tirandolo per i lembi dell’abito talare ora che non potrebbe più precisare il suo pensiero, cose che non ha mai pronunciato, è il triste spettacolo cui siamo costretti ad assistere in questi giorni. Squallido ciò che ha detto Socci in questi giorni, parole che al contrario di quello che vorrebbe far credere lui, nascono da un uomo che non ha la minima sensibilità ecclesiale. Eppure Martini è stato uomo del Concilio e il suo pensiero è chiaramente desumibile dal patrimonio di scritti che ci ha lasciato, e mai si sarebbe sognato di confondere, lui uomo preciso e studioso attentissimo, l’eutanasia con l’accanimento terapeutico, tanto per fare un esempio. Ecco da dove nasce in me la sensazione che uomini, che hanno lasciato delle perle, debbano subire il martirio di vederle strumentalizzate in siffatta maniera. Fortunatamente direbbe Totò, ora appartiene al mondo dei morti, e lì la regola dell’amore vissuta alla presenza di Dio farà in modo che continui a guardarci con il suo volto discreto e sorridente, forse un po’ timido, ma pregno di quella superiorità che discende non dall’arroganza ma dalla consapevolezza che il Signore ha dato la vita per tutti, anche per coloro che usano dei tesori a modo di mangime e si ostinano a voler vedere. Mi piace ricordarlo con un aneddoto che lui stesso ha citato varie volte, quello cioè di un frate che predicando a Milano ebbe a confidare a don Tonino Bello, altro grande profeta dei nostri tempi, che se a Martini avessero tolto la Parola di Dio non gli sarebbe rimasto più niente. Mons. Bello rispose che avrebbe desiderato che tale costatazione fosse state incisa per lui sulla pietra tombale, e il cardinale asseriva la sua gioia di possedere soltanto la Parola di Dio. Infondo aveva ragione, a volte le parole degli uomini appaiono solo di circostanza, soprattutto quando si svuotano della gratuità che il Signore ha insegnato e che Martini ha incarnato nella sua esistenza terrena.