Aldo Bianchini
SALERNO – Era un pomeriggio caldo, molto caldo, quello del 26 agosto del 1982. Tutta l’estate del 1982 era stata caldissima e con tanta siccità. Era la “controra”, così amano definire i salernitani quell’orario di metà pomeriggio che è preferibile passare in casa possibilmente al fresco e possibilmente sorseggiando un fresco aperitivo. Era la controra e due giovani agenti della Polizia di Stato, Antonio Bandiera (autista) e Mario De Marco, parcheggiano la propria autovettura davanti al bar “Moka” a Torrione in Via Andrea De Leo per un attimo di sosta durante il loro turno di lavoro alquanto monotono in quella tremenda calura estiva di fine agosto. Nel bar vengono accolti da Simplicio (titolare), don Pietro e “il capitano” che sono dietro al banco. I due poliziotti sono molto conosciuti a Torrione e non trovano difficoltà a scambiare due chiacchiere con i tre baristi mentre ordinano una bevanda fresca ed un caffè (i famosi caffè del capitano). Ad un centinaio di metri dal bar si apre il portone di un palazzo con un forte scricchiolio delle cerniere di ferro, in strada (Via Abella Salernitana) c’è il silenzio assoluto, si sente solo il gracchiare di qualche televisore acceso che rimanda vecchi film d’avventura, dal portone esce il giovane fotografo Antonio Schiavone già noto a molti per essere il fotografo de Il Mattino. Fa pochi passi ed arriva sulla strada principale (Via Posidonia), gira lo sguardo verso destra e vede l’autovettura della polizia parcheggiata davanti al bar, è quasi tentato di farci una capatina per salutare gli agenti che quasi certamente conosce, ma il pensiero della mamma vecchia e ammalata che lo attende lo fa ritornare sui suoi passi e svolta verso sinistra per avviarsi alla volta di Via Parisi dove, in fondo verso la piazzetta, abita l’anziana genitrice. Via Parisi dista non più di duecento metri in linea d’aria dal Bar Moka e in quel silenzio della controra è possibile percepire anche un batter d’ali tra i due posti. Antonio Schiavone, armato della sua inseparabile macchina fotografica, arriva da una stradina laterale nella piazzetta sulla quale sbocca Via Parisi. Nell’aria calda e soffocante avverte del vociare, quasi come se qualcuno con voce secca impartisse degli ordini precisi; si ferma, istintivamente si mette meglio in ascolto. Come un tuono avverte il primo sparo, poi altri ancora, mentre il vociare secco e preciso si fa animazione e concitazione. Non capisce bene cosa stia accadendo sotto i suoi occhi, sente altre armi far fuoco, in mezzo alla piazza proprio alla confluenza di Via Parisi ci sono alcune camionette dell’esercito e gente che corre da un lato all’altro, istintivamente si butta per terra ed aspetta, non riesce a tirar fuori la sua preziosa macchina fotografica. Con la coda degli occhi vede un soldato (Antonio Palumbo) cadere per terra e rotolare su se stesso. Nel frattempo Antonio Bandiera ha finito di centellinare il suo caffè nel Bar Moka proprio mentre arriva il rumore sordo ed inconfondibile del primo sparo. I tre baristi, Simplicio, il capitano e don Pietro non fanno neppure in tempo a realizzare quanto sta accadendo che i due poliziotti sono già partiti a sirene spiegate verso il luogo da dove provengono i numerosi spari. Antonio Schiavone è ancora acquattato per terra quando vede arrivare a gran velocità la volante con a bordo i due poliziotti. Antonio Bandiera apre velocemente la portiera lato guida e mette i piedi a terra, fa appena in tempo a puntare la pistola d’ordinanza e, forse a sparare, che viene falciato dai colpi partiti da una mitraglietta cecoslovacca Skorpion brandita da “Nadia”, una delle più feroci terroriste rosse del momento. Antonio Schiavone non sa che la terrorista che da ordini e spara all’impazzata è proprio Nadia (romana, classe 1954) che all’anagrafe risulta iscritta come Emilia Libera e che qualche mese prima è stata protagonista del rapimento del famoso generale americano James Lee Dozier (liberato dai Nocs e dalla CIA il 28 gennaio 1982). Non sa il bravo fotografo Schiavone che Nadia era stata la terrorista che, qualche anno prima, aveva fornito a Bruno Seghetti in Piazza Albania a Roma l’autovettura Renault/4 rossa che sarà utilizzata per il trasporto del cadavere di Aldo Moro in Via Caetani. In quel momento terrificante Antonio Schiavone, ovviamente, non pensa ma vede soltanto. E vede che Mario De Marco, uscito dall’auto, sta cercando di lanciarsi verso il convoglio militare ma viene anch’egli barbaramente raggiunto da una gragnuola di colpi. Sente un ordine perentorio: “Non è morto, spara, spara …”; la voce inquietante è di una donna. Poi qualche attimo di silenzio assordante, nell’aria solo i flebili lamenti dei feriti, le grida di raccolta dei terroristi e la fuga precipitosa mentre con le loro armi sparano ad altezza d’uomo e verso l’alto dei palazzi che sorgono tutt’intorno. Passa qualche altro attimo e nell’aria rimbombano le decine di sirene delle autovetture delle forze dell’ordine sopraggiunte sul luogo della strage in men che non si dica. Antonio Schiavone si alza ed incomincia a scattare fotografie, alcune drammatiche, che faranno il giro di tutti i giornali dell’epoca. Mentre fa il suo lavoro cerca anche di dare una mano per aiutare i poliziotti e il soldato apparentemente feriti. Antonio Bandiera è già morto; Mario De Marco morirà in ospedale a Napoli il 30 agosto, mentre Antonio Palumbo morirà, sempre a Napoli, il 23 settembre successivo. Passano altri minuti e Antonio Schiavone si precipita su per le scale del palazzo dove abita la mamma al quinto piano; la trova in compagnia della sorella ed entrambe sono in preda al terrore. La mamma qualche minuto prima si era affacciata al balcone per guardare se arrivava il suo Antonio ed aveva notato nascosta proprio sotto casa una donna con in braccio un qualcosa che rassomigliava ad un fucile. Dal balcone le aveva gridato cosa stesse facendo e la terrorista di rimando le aveva puntato l’arma contro intimandole di rientrare in casa. Antonio si affaccia subito al balcone per continuare i suoi scatti e si accorge che sul balcone sottostante c’era il corpo di un giovane riverso per terra e sanguinante. Da subito l’allarme, i soccorritori accerteranno dopo che il giovane è stato ferito alla testa da alcuni proiettili vaganti; fortunatamente il giovane si salverà. Passano le ore e la quiete piano piano riprende il sopravvento sugli eventi drammatici, Antonio ovviamente va in Questura per la sua deposizione e poi passa per il giornale per i servizi fotografici, ma il suo pensiero va sempre al momento in cui, uscito dal portone di casa, svoltando su Via Posidonia, aveva visto l’auto dei poliziotti ferma davanti al bar Moka, chissà se fosse andato a salutare gli amici poliziotti cosa sarebbe potuto cambiare nella sequenza degli avvenimenti di quel giorno. Per la cronaca, soltanto per la cronaca, ricordo che la terrorista Nadia quel giorno fu ferita da uno dei due poliziotti e che per questo fu costretta a ricoverarsi in una clinica di Lauria (Pz), ricovero che portò incredibili ed ingiustificati guai giudiziari all’ignaro senatore socialista Pittella (papà dell’attuale vice presidente del Parlamento Europeo). Nell’attacco BR a Salerno furono impiegati 10 brigatisti di primo piano, furono uccise tre persone e furono presi 4 fucili “Fal Beretta Bm/59” e “2 Garand”. La brigatista Nadia sarà catturata qualche mese dopo l’attacco di Salerno dagli stessi agenti dei Nocs e della Cia che avevano liberato Dozier. Nel 1989 la Nadia fu rimessa in libertà provvisoria, sposò un terrorista (Sergio Calore), mise su famiglia e andò a vivere a Tivoli; qualche anno dopo la Nadia trovò il corpo del marito assassinato in un casolare di loro proprietà. Antonio Schiavone, invece, ha continuato per decenni la sua brillante attività di giornalista-fotografo; ora vive serenamente la sua vita di pensionato nel quartiere Torrione di Salerno.
Tra gli assassini della c.d. strage di Salerno c’erano forse Emilia Libera e Natalia Ligas, ma nessuno ha ancora pagato per aver tolto la vita ai nostri ragazzi….