SALERNO – Sono passati già cinque anni da quel tragico e inquietante 12 luglio 2007. Erano all’incirca le 11.00 del mattino quando Salvatore, dalla sua Tunisia, chiama mamma Enza che è in casa in loc. Cappelle a Matierno di Salerno. Una casa grande ma austera, senza inutili fronzoli che mamma Enza cura con meticolosità alternando il suo impegno con la vicina tenuta di campagna dove tutta la famiglia puntualmente si ritrova. Salvatore al telefono è sereno, mamma Enza altrettanto, parlano a lungo del più e del meno. Nessuno dei due sa che una volta abbassata la cornetta non si sentiranno più, mai più. Dopo oltre mezzora di conversazione si salutano, affettuosamente, come sempre e come solo Salvatore sa fare con la mamma, con garbo e delicatezza. Mamma Enza posa la cornetta, è allegra, forse anche felice, ha sentito il figlio prediletto, è più serena, incomincia a scendere i pochi scalini che la separano dal piano terra e pensa di avviarsi verso la tenuta di campagna dove ci sono degli operai al lavoro. Vuole rendersi utile ad ogni costo, pensa anche a quei giovani al lavoro sotto il sole cocente, pensa a Sonu che l’aspetta. E’ arrivato dal campo profughi di San Nicola Varco, suo figlio Salvatore l’ha scelto sulla base di precise segnalazioni di affidabilità, l’ha tolto da un letamaio di vita e di relazioni. Sonu per mamma Enza è come un figlio, probabilmente più di un figlio a causa della sua fragilità in un mondo che gli è comunque ostile. Dall’altro capo dell’immaginario filo della comunicazione Salvatore preme il pulsante “stop” del telefonino, il suo feeling con la mamma non si interrompe. Quasi la vede spostarsi verso la breve scalinata e scendere al piano terra, la vede dare un’occhiata alla cucina, poi mentre si sposta verso l’uscita. All’improvviso Salvatore si blocca, mamma Enza è come se fosse entrata in un tunnel bianco senza fine e stracolmo di nebbia fitta che impedisce una qualsiasi visuale. Salvatore trasale, quasi non respira, per qualche attimo viene percorso da brividi freddi lungo la schiena, mentre bui pensieri lo assalgono. L’adorata mamma Enza è anziana, quasi ottantenne. Si scuote, si riprende, guarda il telefonino, perplesso lo infila in tasca così come allontana i brutti pensieri. Quella mattina Salvatore ha degli impegni molto importanti e, tra l’altro, deve essere anche ricevuto dall’ambasciatore tunisino in Italia che si trova nel suo paese d’origine. Mentre esce si ripropone di chiamare nuovamente la mamma nel pomeriggio. Non potrà farlo mai più. Dopo qualche ora, difatti, sarà la sorella Maria Luisa a telefonargli per dirgli che mamma Enza è stranamente ed incomprensibilmente scomparsa insieme al fedele Sonu. Nei giorni successivi accade di tutto e di più. Decine e decine di uomini, forze dell’ordine, elicotteri, automezzi terrestri, tutti impegnati nelle faticose e difficili ricerche. Ma mamma Enza sembra svanita nel nulla. Centinaia le segnalazioni di falsi avvistamenti, dall’Italia all’India, da Cappelle a San Nicola Varco. Anche le trasmissioni televisive nazionali (con “Chi l’ha visto” in testa) si interessano al caso di Enza e Sonu. Niente da fare, mamma Enza è scomparsa per sempre. Si intrecciano mille congetture sulla fine dei due. In tanti si impegnano con professionalità e impegno, altri lo fanno senza una strategia precisa, altri ancora non muovono un dito. Da queste manifestazioni di leale o finta solidarietà Salvatore MEMOLI prende la giusta carica per fare da solo, per indagare, per infiltrarsi, per chiedere, per prostarsi, per ascoltare, per capire, per soffrire, per sperare. Sempre, costantemente, minuto dopo minuto da quel giorno è sempre con la sua adorata mamma, la sente viva, vicina, palpitante. Scrive Salvatore, scrive dei suoi momenti di sconforto, di ritrovata lena, di moderata speranza. Scrive della mamma e sulla mamma, scrive del fenomeno della clandestinità, riesce addirittura a comporre una splendida sceneggiatura che validissimi attori hanno già portato sulla scena. Va avanti, anche da solo, ma va avanti Salvatore e nella sua missione trascina le coscienze di moltissimi, da Napoli a Salerno, dall’Italia alla Tunisia, fino in India. Però il tempo passa, inesorabile, e le lancette non si fermano. Sono passati cinque anni, un soffio di fronte all’eternità, un abisso incolmabile di fronte agli affetti umani. Forza Salvatore, forza Maria Luisa, forza Dante, forza anche ai due splendidi figli adottivi di Dante che non hanno mai conosciuto quella grande e meravigliosa donna di nonna Enza.
direttore: Aldo Bianchini
Posso solo dirti grazie.Vorrei con te ricordare quella splendida e bella donna che era mia madre,quando ci riceveve la domenica mattina,insieme all’indimenticabile Franco Amatucci,offrendoci di tutto e prendendoci per la gola.Voglio ricordarla mentre intesseva partecipate conversazioni e ragionamenti coraggiosi e leali con Franco sulla politica e su certi uomini che hanno dimostrato di non aavere cuore,anzi di non averlo mai avuto.Noi (tu ed io) zittiti da tanta lucidità,loro (Mamma e Franco) divertiti dalla nostra ingenuità…….Sono rimasto un ingenuo,però mi sento forte di una protezione che,ovunque si trovi,farà giustizia di tanta malvagità.