Allo scoppio della guerra del Golfo del 1991 i media del mondo arabo erano appannaggio di Egitto e di Arabia Saudita che, però, vantavano due modi diversi di fare televisione, basata su valori spesso in contrasto tra loro. Le trasmissioni egiziane al tempo di Nasser veicolavano principalmente l’idea del panarabismo con un forte accento sulla promozione dell’identità araba della regione mediorientale e un atteggiamento di spregio nei confronti del colonialismo. Ma, oltre al modello politico che le emittenti egiziane avevano l’obiettivo di diffondere, le trasmissioni nascevano anche per divulgare la cultura del Paese nell’area che si estende dal Nord Africa al Medio Oriente. Infatti, attraverso le cosiddette musalsalat, ovvero le soap opera, la televisione mirava a diffondere la cultura e le problematiche storico-sociali del Paese, nonché il dialetto egiziano, ancora oggi compreso in tutta l’area di lingua araba, grazie appunto alla notevole produzione dell’industria cinematografica dell’Egitto. Dall’altra parte, invece, l’Arabia Saudita prediligeva una televisione diversa, tesa a comunicare tematiche e valori fortemente religiosi, quali il ruolo della famiglia, della donna e dell’Islam nella società. Seppur in qualche modo molto simile alle trasmissioni egiziane, quelle saudite si facevano promotrici di un tipo di panarabismo non politico, ma sociale che faceva leva sul concetto della Umma, nel senso di “comunità dei musulmani”. La televisione egiziana è sempre stata la perla dei media arabi, almeno fino al 1979, quando, in seguito agli accordi di Camp David firmati dal presidente egiziano Sadat e dal primo ministro israeliano Begin, l’Egitto fu espulso dalla Lega Araba e la monarchia saudita, potendo contare soprattutto sui proventi del petrolio, ha approfittato dell’isolamento del Paese dei Faraoni per contrattaccare la potenza mediatica egiziana. A quel tempo il Libano vantava un panorama televisivo diversificato e abbastanza libero, la Siria, al contrario, molto più chiuso e controllato e il Qatar , invece, legato ai costumi conservatori dell’area. La guerra del Golfo del ‘91, a causa di una serie di ragioni di carattere politico-strategico, rappresenta un vero turning point per la televisione araba. Diversi Paesi sviluppano un network panarabo per contrastare i canali occidentali, ma la vera novità risiede nella nascita di Al Jazeera. L’emittente che si fregia di dare “l’opinione e l’opinione contraria”- così come riportato sotto al suo logo- vanta due versioni, una in arabo e una in inglese. Fortemente voluta dall’emiro del Qatar, Ahmad bin Khalifa Al Thani, da cui è finanziata fin dalla sua costituzione nel 1996, l’emittente gode della reputazione di essere uno dei migliori canali di informazione in lingua araba sul Medio Oriente, nonché il solo network indipendente dell’area. Con i suoi uffici di corrispondenza in quasi tutto il mondo, Al Jazeera ha fatto il suo ingresso trionfale nel panorama mediatico con la copertura della seconda intifada, rompendo il primato della CNN. Oggi l’emittente rappresenta il punto di riferimento dei media occidentali per le informazioni che riguardano il mondo arabo. Dopo l’11 settembre 2001 mandò in onda messaggi di Bin Laden e questo le è costata l’accusa di antiamericanismo da parte degli USA, nonostante le ottime relazioni che l’America intrattiene con il Qatar. Infatti, la base del piccolo Paese del Golfo ospita il più grande dispiegamento militare americano dopo quello nelle Filippine. Anche Israele, nonostante le buone relazioni con l’emirato, ha più volte rivolto critiche alla tv qatarina durante la trasmissione di servizi relativi all’intifada, accusandola di parteggiare per i palestinesi. Il capitale di Al Jazeera viene da finanziamenti dello Stato e non da quelli pubblici, in quanto non generato da tassa imposta ai cittadini dal canone e, secondo le previsioni iniziali, dopo 5 anni dalla sua nascita, la tv del Qatar sarebbe dovuta diventare pienamente indipendente dal punto di vista economico. L’emittente è ancora oggi dipendente da tali finanziamenti a causa dei pochi spazi pubblicitari, dato che la maggior parte di essi vengono accaparrati dalla tv dell’Arabia Saudita. Infatti, secondo una legge vigente nel Golfo, ogni multinazionale, al fine di operare nel Paese, deve necessariamente avere un partner locale e, poiché la maggior parte delle filiali arabe di queste società si trova in Arabia Saudita, il partner locale impone l’acquisto di spazi pubblicitari su tv locali. Ma allora ci si chiederà: qual è il senso di mantenere in vita un’emittente in perdita? Sì, Al Jazeera non genera danaro e dipende dal finanziamento della famiglia dell’emiro, ma ha grosse ricadute politiche e un fine educativo. La tv qatarina si pone in linea con l’obiettivo nazionale dello sviluppo della cultura, ma rappresenta una risorsa per tutto il popolo arabo per l’uso dell’arabo moderno standard. Ma passiamo alle ricadute politiche che non sono da intendersi sul fronte internazionale, in quanto, come già spiegato, l’emittente non fa sconti a nessuno, neanche agli amici della monarchia. Ed è proprio questo il vantaggio! Il fatto di nascere in un Paese che, come i suoi vicini, sicuramente non si distingue per la protezione dei diritti umani ed in cui gli strumenti di rappresentanza politica non sono alla portata della popolazione, l’idea di indipendenza da ogni influenza da parte del potere la rende simbolo di democrazia e motivo di orgoglio e di importanza del Qatar sulla scena internazionale. Per i toni spesso critici con cui l’emittente qatarina ha trattato questioni legate alla monarchia saudita, Al Jazeera non gode delle simpatie dei sauditi che, per insidiare la posizione di supremazia della tv nel panorama mediatico arabo, hanno lanciato nel 2003 la tv Al Arabia.
direttore: Aldo Bianchini